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Un rapporto dell’Onu denuncia il sistema del caporalato in Italia

“Siamo rimasti impressionati dalla situazione di sfruttamento dei lavoratori che esiste in alcune zone, ancor più perché ci troviamo in un paese europeo con normative avanzate come l’Italia”. Ha parlato in questi termini il professor Surya Deva, presidente del gruppo di lavoro Onu su Business and Human right, al termine dalla missione Onu su diritti umani e attività d’impresa portata avanti nel nostro paese.

Dieci giorni in cui l’Onu ha rilevato gravi e persistenti abusi in molte attività imprenditoriali italiane, tra cui condizioni di lavoro e di vita disumane per migliaia di lavoratori migranti, scarsa sicurezza sul lavoro e inquinamento ambientale estremamente pericoloso per la salute pubblica. Non sono sufficienti, dunque, gli sforzi e le iniziative del Governo italiano per rispettare obblighi e responsabilità in materia di diritti umani, secondo i Principi guida delle Nazioni Unite. La commissione ha visitato Lazio, Campania, Puglia, Basilicata, Lombardia e Toscana e alcune zone cruciali dei loro territori. Tra queste Prato, Taranto, Avellino, la zona estrattiva della Val D’Agri, in Basilicata e diverse zone del foggiano, luoghi in cui ha ascoltato le testimonianze di ministeri, autorità regionali, società civile, sindacati e imprese.

Sono molti i documenti raccolti, comprese le denunce depositate negli anni. “La sicurezza e la salute dei lavoratori rappresentano una grande preoccupazione, per via dell’alto numero di incidenti sul lavoro, ma ancora più importante e sorprendente è la portata dello sfruttamento, in particolare dei lavoratori migranti [1]”, ha aggiunto Deva, focalizzandosi in particolare sui settori della logistica, dell’agroalimentare e del tessile, quelli in cui è più facile trovare lavoratori migranti provenienti in particolare da paesi africani e asiatici. Ma per l’Onu l’area di interesse potrebbe essere molto più vasta. Sono molti, infatti, gli individui ancora piegati dal caporalato, che continuano a vivere in condizioni disumane senza possibilità di prospettive future migliori. Secondo le stime [2] sono 400 mila, l’80 per cento sono stranieri e con un salario giornaliero pari a circa la metà di quello stabilito dai contratti nazionali. Una condizione che si verifica maggiormente nel Mezzogiorno, ma è in aumento anche nel Nord e nel Centro del Paese. I distretti agricoli in cui è ancora presente il caporalato sono 80 (almeno, quelli conosciuti). Fra questi, in 33 sono state riscontrate condizioni di lavoro “indecenti” e in 22 “di grave sfruttamento”.

Per questo motivo gli esperti delle Nazioni Unite hanno esortato il Governo italiano a intraprendere azioni più concrete, perché “In quanto economia altamente sviluppata dell’Unione europea, l’Italia dovrebbe creare al più presto un’istituzione nazionale per i diritti umani forte e indipendente, investita di un mandato esplicito che le permetta di intervenire su questioni relative a abusi dei diritti umani legati alle attività delle imprese”. Basti pensare che il nostro è uno dei pochi paesi europei che ancora non ha un suo organismo nazionale che si occupi di diritti umani. Sarebbe opportuno, invece, intervenire per rendere le imprese italiane legalmente responsabili in caso di violazioni dei diritti umani e dell’ambiente, frutto delle attività produttive da loro compiute.

Lo stesso sforzo e lo stesso intervento che servirebbe in termini di disuguaglianze di genere. Anche se è leggermente in aumento il numero di donne che ricopre cariche dirigenziali, c’è ancora un abisso da colmare su parità salariale e di opportunità. Fattori aggravati da molestie sessuali sia sui luoghi di lavoro che nello spazio pubblico.

Anche se il report Onu definitivo sarà pubblicato nel giugno 2022 e consegnato al Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni unite, il quadro generale non è soddisfacente. Si può e si deve fare di più, molto di più.

[di Gloria Ferrari]