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Ex capo del Pentagono: la Cina ha vinto la guerra delle intelligenze artificiali

L’opinione di Nicolas Chaillan, ex-capo programmatore del Pentagono, è esplicita e diretta: la Cina ha vinto la battaglia delle intelligenze artificiali, cosa che a sua volta scatenerà un effetto domino che permetterà al gigante asiatico di dominare l’intero settore tech. Il tecnico lo ha confessato al Financial Times [1] in un’intervista dal tono bilioso che segue a distanza di poche settimane la sua scelta di rassegnare le dimissioni come atto di protesta.

Chaillan ha abbandonato il suo ruolo governativo a causa di quella che reputa una mala gestione dello sviluppo tecnico e tecnologico dell’esercito a stelle e strisce. La ricerca statunitense sarebbe infatti appesantita da Big Tech che non si dimostrano adeguatamente collaborative con la Difesa, nonché dai reiterati dibattiti di natura etica che orbitano attorno al settore del machine learning. Gli USA non sono abbastanza autoritari, insomma.

La posizione di Chaillan è condivisa peraltro da molti professionisti in seno alla Difesa, con il risultato che progressivamente si stia sollevando nel Pentagono un coro di voci intento a promuovere un profondo cambiamento culturale. Un cambiamento che, ribadiamo, vorrebbe che la Casa Bianca fosse in grado di sottomettere le aziende private e annichilire ogni dubbio ideologico sul cosa sia o non sia lecito sfruttare in contesto bellico.

Sul piano puramente pragmatico, il panico e la frustrazione degli informatici militari statunitensi è però comprensibile: il mondo si sta sempre più muovendo verso l’uso/abuso delle intelligenze artificiali, quindi le nazioni che hanno maggiormente sviluppato questo genere di strumento sono anche quelle che hanno più possibilità di esercitare dominanza su di un sistema economico altamente digitalizzato. Il fatto che la cybersicurezza statunitense sia stata profondamente violata dagli hacker di tutto il mondo non aiuta certamente a sedare tali preoccupazioni.

Lo spaccato tech del Pentagono solleva per l’ennesima volta uno scontento che riflette un dubbio profondo riguardante la nostra società, ovvero se la democrazia rappresenti o meno una strada politica effettivamente percorribile nel prossimo futuro. L’Occidente sta perdendo il suo ruolo monopolistico globale e il potere defluisce verso nazioni che manifestano atteggiamenti amministrativi che, seppur illiberali, si dimostrano apparentemente efficaci, cosa che sta sviluppando in alcuni un’invidia che accende i fuochi del dissapore.

[di Walter Ferri]