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La giornalista Zhang Zhan, che aveva raccontato l’epidemia da Wuhan, è ancora in carcere

Zhang Zhan, una delle prime giornaliste ad essersi recate nella città di Wuhan per documentare lo svolgersi della pandemia, è ancora in carcere in grave condizioni di salute. Una coalizione di 45 ONG [1] attive nella difesa dei diritti umani (tra le quali Amnesty e Reporters Sans Frontières) ha redatto una lettera per sollecitare il presidente cinese Xi-Jinping a concederne il rilascio insieme al decadimento delle accuse.

L’accusa ufficiale contro Zhang Zhan, per la quale è stata condannata a quattro anni di carcere, è di “aver provocato discussioni e problemi“. Si tratta di un’accusa infondata e vaga che, come riporta l’International Federation of Journalists, “spesso viene rivolta dalle autorità contro gli elementi critici del Partito Comunista Cinese”. Zhan si era recata a Wuhan [2], epicentro della pandemia, già nel febbraio 2020: qui aveva realizzato brevi video dove documentava lo svolgersi dei fatti nella città allora blindata. La sua iniziativa aveva infastidito il governo il quale, nel tentativo di mantenere un’unica narrativa ufficiale della gestione della pandemia, l’aveva fatta arrestare nel maggio 2020.

Le accuse contro di lei erano di diffondere falsa informazione attraverso i social media, nonché di trarne beneficio rilasciando anche interviste a media internazionali. Al processo Zhan si è dichiarata non colpevole ma il 28 dicembre è arrivata la condanna definitiva, dopo un processo durato appena tre ore. “La sua unica colpa è di aver dato voce all’angoscia delle famiglie delle prime vittime del Covid-19, che le autorità avevano attribuito a una ‘polmonite misteriosa’” scrive sul proprio sito Amnesty International.

Dal suo primo arresto nel maggio 2020 Zhan ha iniziato uno sciopero della fame, per protestare contro le infondate accuse rivolte nei suoi confronti. Il sistema carcerario ha proceduto con l’alimentazione forzata tramite cannula nasale, ma la salute fisica di Zhan è andata deteriorandosi sempre più. Nell’agosto 2021, in seguito a un peggioramento critico delle condizioni di salute, è stata ospedalizzata per 11 giorni e poi riportata in carcere. La sua famiglia, recatasi a visitarla in ragione delle precarie condizioni di salute, ha diffuso su alcune pagine social cinesi messaggi di profonda preoccupazione.

La Cina si configura come il Paese che detiene più giornalisti al mondo in prigione, almeno 122 secondo quanto riportato da Reporters Sans Frontières (ne abbiamo parlato anche qui [3]). Di questi almeno dieci, insieme a Zhang Zhan, rischiano la morte. Tra di loro vi sono il reporter investigativo Huang Qi, vincitore del RSF World Press Freedom, l’editore svedese Gui Minhai e il giornalista ugiuro Ilham Tohti. Nel gennaio 2021 ha perso la vita a causa dei maltrattamenti in prigione Kunchok Jinpa, fonte importante per l’informazione sugli avvenimenti in Tibet. Liu Xiaobo, Nobel per la Pace nel 2010, e Yang Tongyang, blogger dissidente, sono entrambe morti nel 2017 in carcere, per cancro non trattato. La Cina si colloca 177ma su 180 Paesi nell’RSF World Press Freedom Index 2021 [4], l’indice di calcolo della libertà di stampa (nel quale l’Italia occupa il quarantunesimo posto).

[di Valeria Casolaro]