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Aree agricole ad alto valore naturalistico, dove l’agricoltura incontra la natura

E se il raggiungimento della sostenibilità nel settore agro-alimentare passasse per la valorizzazione del patrimonio naturale? È un po’ questo il principio che definisce le cosiddette Aree agricole ad alto valore naturalistico (AVN). Un concetto, già introdotto negli anni ‘90, che però ha preso forma solo col passare degli anni. Oggi, queste sono riconosciute come quelle aree in cui “l’agricoltura rappresenta l’uso del suolo principale e mantiene, o è associata, alla presenza di un elevato numero di specie e di habitat naturali”. A partire dal secolo scorso, infatti, si iniziò a comprendere il forte legame tra agricoltura e biodiversità. E soprattutto, si prese consapevolezza dei vantaggi offerti da una convivenza armoniosa tra pratiche agricole e conservazione della natura. Al contrario, è proprio quando le une escludono l’altra, o viceversa, che emergono i problemi. Basti pensare alla Rivoluzione Verde e la conseguente industrializzazione agricola. Trascurando le dinamiche ecologiche, si puntò tutto sulla meccanizzazione e la chimica. Nel breve termine la produttività, effettivamente, aumento di molto, ma la dipendenza da input energetici e nutritivi esterni e la semplificazione dell’ambiente naturale presto fecero comprendere i limiti di tale approccio. Tuttavia, quella che oggi chiamiamo agricoltura convenzionale è perlopiù intensiva e lontana quindi da ogni canone della sostenibilità. Fortunatamente però, la morfologia del territorio ha rappresentato e rappresenta ancora una barriera naturale al diffondersi di pratiche agricole ad alta intensità. Rilievi collinari e montuosi, rispetto a distese pianeggianti, infatti, ospitano inevitabilmente un’agricoltura diversa. Dove le macchine non riescono ad arrivare, la natura rimane incontattata. Ed è in questo contesto che si collocano e trovano spazio le AVN.

Una volta tanto l’Italia è un paese guida

L’Italia, con oltre il 41% di territorio collinare, si fa custode indiscusso di queste aree, per le quali, proprio quando sembravano una realtà in via d’estinzione, l’interesse internazionale si è recentemente riacceso. In particolare, a livello europeo, grazie all’integrazione dei temi ambientali nella Politica Agricola Comune (PAC) [1]. Con tutte le contraddizioni del caso, le istituzioni mondiali hanno preso atto dell’importanza della biodiversità e degli ecosistemi naturali al fine di garantire equamente cibo sano per tutta la popolazione. Infatti, il sistema agricolo, a sua volta – e questo lo si è dimenticato per troppo a lungo – è esso stesso un ecosistema. Come tale, risponde alle dinamiche ecologiche e se isolato o semplificato allo stremo non potrà più assolvere alle sue funzioni. Da qui l’importanza delle AVN. Se coltivo pur mantenendo un certo grado di naturalità, è la stessa agricoltura a guadagnarci. Chiaro che sarebbe utopico pensare che l’intero Pianeta possa essere sfamato da tali realtà, ma che queste ispirino pratiche agricole su larga scala a minor impatto ambientale è possibile oltreché doveroso. 

AVN: cosa sono? Quante sono?

Prima che servano da esempio, però, è necessario conoscerle approfonditamente. Quante sono? Come evolvono? Qual è lo stato in cui versano? Tentare di rispondere a questi quesiti, da quando è stata definita una metodologia comune, è proprio la direzione della comunità scientifica attiva sul tema. Nel 2010, la Rete Europea di Valutazione per lo sviluppo rurale per il calcolo degli indicatori di biodiversità associati all’agricoltura AVN ha stabilito tre approcci [2] utili, innanzitutto, a stimarle quantitativamente. Da questi sono scaturite altrettante tipologie AVN: aree con un’elevata proporzione di vegetazione semi-naturale, come ad esempio pascoli naturali (tipo 1); aree con presenza di un mosaico composto da agricoltura a bassa intensità ed elementi naturali e strutturali, quali muretti a secco, nuclei di bosco o boscaglia, filari, piccoli corsi d’acqua (tipo 2); aree agricole che mantengono specie rare o un’elevata proporzione di popolazioni di specie di interesse conservazionistico a livello europeo, nazionale o regionale (tipo 3). Allo stato attuale, sulla base di questi criteri, la superficie agricola italiana è per il 51% potenzialmente AVN, di cui: 16% di tipo 1, 26% di tipo 2 e 9% di tipo 3.

Stima delle Aree agricole alto valore naturalistico in Europa (https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/figures/estimated-high-nature-hnv-presence)

Un valore anche economico e culturale

La nostra Penisola, dicevamo, si conferma quindi territorio in prima linea nel rappresentare e, di conseguenza, tutelare, queste aree agricole. Per affinità socio-culturale, analogo discorso è però applicabile al resto d’Europa, specie alla zona mediterranea. Non a caso, sono proprio l’agricoltura tradizionale e il sapere culturale legato alla ruralità del luogo ad aver favorito l’affermarsi delle AVN. Caratteristiche che ancora oggi dominano i settori in cui queste aree persistono. Tuttavia, rispondere ai due restanti quesiti avanzati in precedenza porta inevitabilmente a sottolineare per queste una propensione all’abbandono e uno stato qualitativo non dei migliori. Un recente studio pubblicato su Land [3], al riguardo, ha cercato di valutare questa tendenza. I ricercatori afferenti ad università ed istituzioni della capitale spagnola, in particolare, hanno analizzato il legame tra perdita di AVN e fattori socio-economici.

«Nell’area di studio si evidenzia – scrivono gli scienziati – una significativa perdita di Aree agricole ad alto valore naturalistico legata all’interruzione della trasmissione del sapere ecologico e al declino degli usi e delle pratiche tradizionali. Ciò implica conseguenze negative per l’elevata diversità biologica che questi sistemi ospitano, nonché per l’identità culturale e socioeconomica delle popolazioni rurali presenti. La perdita di ruralità – spiegano – è principalmente legata al passaggio da un’economia basata sull’agricoltura a un’economia basata sui servizi e lo sviluppo urbano».

Perdita di terreni agricoli AVN a causa dell’intensificazione dell’agricoltura (https://www.eea.europa.eu/data-and-maps/figures/loss-of-hnv-farmland-due-1)

Il principio fallace della produttività

Quel che si osserva quindi è una tendenza ad una netta separazione tra ciò che è ‘naturale’ e ciò che è ‘culturale’. La necessità compulsiva di recuperare la naturalità dell’ambiente senza condizioni è, paradossalmente, lo stesso errore di chi decenni fa diede il via all’agricoltura industriale. In un paesaggio rurale culturalmente articolato è infatti illogico seguire l’approccio della sola conversione al ‘selvaggio’, specie laddove la millenaria co-evoluzione tra ecosistemi agricoli e naturali ha dimostrato che la convivenza tra questi, in un’ottica di sostenibilità, è possibile. Di contro, favorire qui un rimboschimento incontrollato e l’abbandono delle aree agricole tradizionali, porta inevitabilmente alla perdita di paesaggi culturali, alla diminuzione dell’eterogeneità paesistica, ad impatti negativi sulla biodiversità e ad un aumento dei conflitti uomo-fauna selvatica. 

Ciononostante, fa ben sperare che le recenti politiche comunitarie e internazionali sembrino propendere ora verso sistemi agro-alimentari che includano l’ambiente naturale. Seppur in una prospettiva ancora zoppicante e insufficiente. La salvaguardia delle AVN è da considerarsi quindi prioritaria al fine di conservare la diversità bioculturale senza intaccare la produttività agricola, soprattutto alla luce del fatto che gli ettari da esse occupate sono tutt’altro che trascurabili: solo in Europa se ne stimano oltre 74 milioni. Laddove queste non esistono è possibile crearle o quantomeno trarvi ispirazione. Che lo si voglia o meno, la via della coesistenza uomo-natura potrebbe essere l’unica possibile.

[di Simone Valeri]