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Elezioni amministrative: chi ha vinto e chi ha perso, spiegato in modo imparziale

Nel fine settimana si è votato per eleggere i sindaci in molte importanti città italiane, incluse Roma, Milano, Torino, Napoli e Bologna. In sintesi i risultati più significativi sono i seguenti: nella capitale si andrà al ballottaggio con il candidato di centro-destra Michetti in vantaggio di tre punti (30,1% contro 27%) su quello di centro-sinistra Gualtieri. Fuori dai giochi l’ex sindaca dei 5 Stelle Virginia Raggi, addirittura quarta, dietro a Carlo Calenda, con il 19,1%. Ballottaggio anche a Torino e anche qui l’amministrazione dei 5 stelle finisce senza gloria, dato il modesto 9% raccolto dalla candidata Valentina Sganga (la sindaca uscente Chiara Appendino non si è ricandidata). A giocarsi la poltrona di primo cittadino saranno il candidato di centro-sinistra Lo Russo e quello di centro-destra Damilano, con il primo in vantaggio di 5 punti percentuali. Vittorie al primo turno per il centro-sinistra invece a Milano, Napoli e Bologna. Nel capoluogo lombardo Sala è stato confermato con il 57,7%, mentre Napoli e Bologna hanno eletto con maggioranze schiaccianti i candidati Manfredi (62,9%) e Lepore (61,9%), entrambi appoggiati anche dal Movimento 5 Stelle. Si è votato anche per le regionali in Calabria, dove ha vinto come previsto il candidato di centro-destra, Roberto Occhiuto, con il 54,5%.

Questi in somma sintesi i dati, mentre sui giornali come sempre è già cominciata l’analisi del voto. Chiaramente ognuno tira acqua al proprio mulino, ma per sommi capi si è concordi nel vedere nei risultati una vittoria per il Partito Democratico che quasi ovunque ha aumentato i voti e una sconfitta per il centro-destra (soprattutto per quanto riguarda i risultati ottenuti dalla Lega di Salvini) e per i 5 Stelle che sono praticamente scomparsi, rimanendo addirittura sotto il 4% a Bologna e Milano e fermandosi sotto al 10% a Napoli, considerata una delle roccaforti del movimento.

È una lettura che in grossa parte ci può stare. Ma da par nostro facciamo notare come il vincitore assoluto delle elezioni sia in verità un altro: il partito dell’astensione. I dati sull’affluenza sono infatti disastrosi, in calo in ogni città e complessivamente i più bassi degli ultimi dieci anni. In tutti i grandi comuni sono andati a votare meno della metà degli aventi diritto. Unica eccezione la tradizionalmente partecipativa Bologna, dove ad ogni modo si è arrivati appena al 51% contro il 60% di cinque anni fa. Sulle cause ovviamente il dibattito è aperto e ogni analista propone la propria soluzione, ma il dato in sé è innegabile. Se è vero quindi che la maggioranza degli elettori recatisi alle urne ha premiato i partiti tradizionali è altrettanto innegabile che una maggioranza ancor più grande non ha ritenuto nessun partito degno di essere votato, evidentemente non trovando apprezzabili i partiti di governo né le possibili alternative presenti sulla scheda elettorale.

Tenendo a mente quanto appena detto, i risultati mostrano un altro dato innegabile: queste elezioni segnano il forte ritorno del bipolarismo tra centro-sinistra e centro-destra, in uno schema nuovamente dominante nel quale nessuna ipotesi di alternativa è riuscita a fare breccia. In tutte le città rilevanti nessun candidato che si opponesse alla dicotomia che appoggia il governo Draghi è riuscito a rompere lo schema. A Milano è stato fragoroso, anche considerate le aspettative e la discreta forza mediatica, il fallimento di Italexit di Gianluigi Paragone che ha preso la miseria di 14mila voti (il 3%). Sul fronte opposto rimangono al palo anche le alternative di sinistra: sia Potere al Popolo! (risultato migliore il 2,8% di Bologna) che il Partito Comunista di Marco Rizzo non superano le già magre attese. Unico risultato buono il 16,2% raccolto dal candidato indipendente ed ex sindaco di Napoli De Magistris alle regionali in Calabria. Vagamente significativo anche il risultato del movimento 3V in alcune città di seconda fascia come Trieste e Rimini, dove si attesta oltre il 4%. Ma pure il movimento che più ha cercato di cavalcare il movimento contro il green pass nelle gradi città rimane ben lontano dal rappresentare un’alternativa, con risultati spesso da prefisso telefonico.