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L’altra PreCop: cinque giorni di attivismo ambientale a Milano

La PreCop26 al MiCo (Milano Convention Center) di Milano ha riunito 50 vertici mondiali per discutere le azioni che gli Stati partecipanti intraprenderanno per contrastare i cambiamenti climatici, cambiamenti che ci riguardano tutti. Ma nessun cittadino è stato invitato a sedersi ai tavoli. Cosa è stato detto dai governi in questa riunione preliminare? Le stesse cose che dicono da 26 anni; si è ribadita la necessità non superare la soglia degli 1,5 gradi d’aumento della temperatura, mantenendo così la vivibilità sul pianeta, l’urgenza della questione, e un se adottare o meno un sistema internazionale di controllo delle emissioni.

In buona sostanza nulla di concreto. Per questo dal 28 settembre al 2 ottobre l’esterno del MiCo si è trasformato in una sorta di “PreCop popolare”, con attivisti da tutta Europa riuniti per manifestare contro l’inefficienza del sistema decisionale, con azioni, momenti di dibattito e formazione sparsi per tutta l’area. Durante alcuni di questi incontri è stata stesa la Dichiarazione per il Futuro, un documento basato su studi scientifici, con azioni reali e concrete da adottare, esistenti da almeno 30 anni, ma che non gioverebbero alle lobby mondiali, ovviamente invitate alla PreCop. La Dichiarazione affronta la crisi climatica a 360 gradi: energia, risorse, lavoro, diritti umani ed economia e finanza, con la specifica richiesta che non siano i cittadini a pagare la transizione ecologica ma coloro responsabili dell’80% delle emissioni mondiali, seduti proprio a quei tavoli. Documento fondamentale, che si spera non venga ignorato come i precedenti.

La conclusione della stesura è sfociata in due manifestazioni rivolte alla politica; la prima, il 30 ottobre, ha riunito 50mila persone, mentre la seconda, il giorno dopo, ne ha coinvolte 10mila. Il fattore più rilevante è la differenza d’età e vissuto dei partecipanti, provenienti da realtà sociali con background completamente diversi tra loro, non nate come movimenti climatici. Sindacati, movimenti culturali, associazioni locali e nazionali, cooperative, collettivi studenteschi. Realtà differenti come CGIL, Amnesty International, Survival International, Tendenza Marxista Internazionale, ADL, Priorità alla scuola, One Voice. Su 140 realtà intervistate tutte hanno dato la stessa risposta: il problema ci riguarda tutti ed agire ora permetterà di ottenere anche giustizia sociale.

La transizione ecologica diventerà realmente “un bagno di sangue”, come descritta del ministro Cingolani, se si aspetteranno altri anni per agire, perché gli eventi climatici estremi provocheranno milioni di morti e sfollati. Molti attivisti ed attiviste erano ospiti al Climate Camp, dove l’esperienza è stata immersiva ed ha permesso a persone con un obbiettivo comune di conoscersi e riunirsi in un’ottica propositiva di mobilitazione futura. Inoltre Cilmate Open Platform, promotrice della stesura della Dichiarazione per il Futuro, ha organizzato 24 eventi formativi, spaziando dalle migrazioni climatiche all’agroecologia, dalla medicina alla presentazioni di libri, coinvolgendo tantissimi aspetti tutti minacciati dall’ombra incombente del cambiamento climatico. Numerosi gli ospiti internazionali; non solo le più famose Greta Thunberg, dalla Svezia, e Vanessa Nakate, Uganda. 10 attivisti hanno parlato alla manifestazione del 30 ottobre, tutti partecipanti alla Youth4climate.

Martin, portavoce dell’Argentina, ed Ivan, Messico, hanno criticato fortemente i meccanismi d’oppressione capitalistici. L’attivista dal Libano racconta dell’esplosione di un anno fa, di incendi, di morti, della corruzione e del colonialismo che ancora oggi li opprime. Sorride con amarezza: «Nel mio paese questo non si può fare, non c’è abbastanza libertà di espressione». Dura e schietta la ragazza d’Irlanda: «Dicono che si risolverà tutto con la Cop 26? It’s bullshit!». Rincara la dose il rappresentante della Scozia: «Ci sono state 25 cop e dove siamo ora? Non serve a nulla. Ma noi siamo pronti a muovere le montagne. We are going ti make history in Glasgow». Presente anche un attivista delle comunità indigene brasiliane, nemmeno considerate nella Youth4Climate. «Gli indigeni escono dalle foreste per dire che bisogna agire. Siamo all’inizio della nostra estinzione, la nostra terra soffre. Chiamo tutti i giovani del pianeta puntare lo sguardo sugli indigeni e sull’Amazonia. Lancio una sfida ai giovani: aiutateci a proteggerci. Abbiamo 10 giorni da ora per fare girare questo. Stand For Amazonia». Il ragazzo fa riferimento al piano che si discuterà nella Convenzione sulla diversità biologica, dove i leader mondiali intendono concordare di trasformare il 30% della Terra in “aree protette” entro il 2030, ennesimo greenwashing governativo che sfratterà gli indigeni dagli ultimi santuari della biodiversità al mondo, rimasti tali proprio grazie a loro.

Numerosissimi i temi toccati in questi giorni a Milano, uno sopra tutti: è ora che i governi si tolgano la maschera verde e mostrino le loro vere intenzioni, perché non ingannano più nessuno.fri

[di Erica Innisi – attivista di Fridays For Future]