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I “Pandora Papers” stanno facendo tremare i potenti di tutto il mondo

Domenica 3 ottobre l’International Consortium of Investigative Journalists (ICIJ) ha reso nota l’esistenza di un dossier investigativo di portata colossale, un’indagine di stampo finanziario tanto poderosa da far impallidire anche le già imponenti rivelazioni dei Panama Papers del 2016. Si tratta dei Pandora Papers, una raccolta di 11,9 milioni di carteggi attentamente analizzati da più di 600 giornalisti provenienti da ogni angolo del globo.

Come il personaggio mitologico da cui adotta il nome, il frutto di questo sforzo giornalistico promette di “scoperchiare il vaso” delle posizioni economiche di 35 leader mondiali e di più di 300 ufficiali pubblici, rivelando l’esistenza e la portata dei loro conti off-shore, legali o illegali che siano. Stiamo parlando di traffichi monetari portati avanti a Panama, Dubai, Monaco, Svizzera, Hong Kong, le Isole Vergini e le Isole Cayman, a nome proprio o attraverso prestanomi, che mostrano senza filtri quale sia l’atteggiamento dei potenti nei confronti delle nazioni che amministrano. Stando all’ICIJ [1], Pakistan, Messico, Spagna, Brasile, Sri Lanka, Repubblica Ceca, Australia e Panama starebbero già reagendo alle rivelazioni promettendo repentine indagini interne.

Tra i grandi nomi finiti sotto la lente di ingrandimento compaiono il Primo Ministro ceco Andrej Babis, il Re giordano Abdullah II, la famiglia del Presidente dell’Azerbaijan Ilham Aliyev, il Presidente cipriota Nicos Anastasiades, il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskiy, l’ex Primo Ministro inglese Tony Blair e consorte, il Presidente kenyota Uhuru Kenyatta, nonché molti soggetti estremamente vicini a Vladimir Putin.

I Pandora Papers non si concentrano esclusivamente sulle figure istituzionali, ma fanno le pulci anche a personaggi pop quali la cantante Shakira o la modella Claudia Schiffer, arrivando a toccare la criminalità organizzata citando in causa il camorrista Raffaele Amato. L’indagine non si ferma inoltre ai conti bancari, piuttosto si estende alle proprietà in senso esteso, analizzando l’acquisto di immobili, jet privati, yacht e opere d’arte di ogni tipologia e forma.

Le informazioni raccolte dal consorzio stanno venendo progressivamente metabolizzate, ma già ora si possono notare alcuni elementi che non mancheranno di alterare gli equilibri politici. In tal senso, risulta particolarmente incisiva la rivelazione che gli USA, i quali si sono fatti portavoce [2] della transizione a un sistema finanziario globale trasparente, siano in testa alla lista dei “Tax Haven”, con il Dakota del Sud che si dimostra particolarmente clemente nell’accettare i soldi di coloro che sono accusati di riciclaggio ed evasione fiscale.

Come sempre capita in contesti simili, la pubblicazione dei Pandora Papers spinge a domandarsi se sia deontologicamente corretto pubblicare le informazioni finanziarie di coloro che, pur detenendo un conto off-shore, non si sono concretamente macchiati di crimini, ma si sono limitati a sfruttare cavilli e scappatoie concesse loro dai vari sistemi legislativi.

Un dubbio lecito, ma che rischia di depistare l’attenzione dal fatto rilevante: quei cavilli non dovrebbero esistere. Complice l’impatto della pandemia, è sempre più evidente che la distanza tra i super-ricchi e il resto del mondo sia ormai abissale, cosa che porterà forse a soppesare con maggiore attenzione i contenuti dell’indagine.

[di Walter Ferri]