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Marion Nestle: una vita in opposizione alle multinazionali del cibo

Abbiamo avuto occasione di confrontarci con Marion Nestle, 84 anni, esperta internazionale di sociologia e di studi enogastronomici. Vivace autrice, è molto attiva sul suo blog, Food Politics [1], ed è nota per la sua profonda capacità analitica attraverso cui analizza le manipolazioni dei mercati e dei costumi legati alla filiera della produzione e del consumo degli alimenti. Da sempre schierata in difesa della salute pubblica e ferma oppositrice delle pratiche delle grandi aziende alimentari. Non è naturalmente in alcun modo imparentata con la multinazionale svizzera del cibo, alla quale la lega solo uno sfortunato caso di omonimia.

Incalzata dai nostri quesiti relativi a rivoluzioni climatiche, potenziali carestie globali e cibi alternativi, Nestle ha condiviso uno spaccato delle sue esperienza, spiegandoci in maniera molto esplicita che molto del nostro futuro alimentare si lega a dinamiche puramente finanziarie.

Esistono nomi noti della filiera del cibo – nomi quali Bayer-Monsanto e Coca-Cola – che vengono considerati particolarmente potenti, ma qual è l’effettiva scala della loro influenza e c’è qualcosa che i consumatori possono fare per proteggersi dalle conseguenze delle loro pressioni?

Non so se esiste una scala in grado di misurare l’oggettiva portata del loro potere, tuttavia può essere utile considerare la concentrazione del settore industriale – estremamente alta per esempio nel caso combinato di Coca-Cola e Pepsi – e della difficoltà patite nel far approvare alcune misure sanitarie che vadano a scoraggiare il consumo e la promozione delle bibite gassate. O, nel caso della Monsanto, degli ostacoli che hanno dovuto superare i querelanti nel caso contro l’erbicida Roundup.
I piccoli coltivatori possono appellarsi alla legge, ma si tratta di un processo lungo, lento e costoso che non garantisce necessariamente un esito vittorioso. I Governi, locali e nazionali, tendono a essere legati profondamente alle aziende, il che rende ancora più potenti le aziende stesse.

Siamo all’alba di un’evoluzione tecnologica nella produzione di cibo, la cosiddetta agricoltura 4.0. Molti sperano che questa evoluzione possa migliorare il mondo, ma economisti quali Thomas Daum [2] temono che l’automatizzazione agricola aumenterà le disparità sociali. In questo caso che potrebbero fare i Governi per assicurarsi che la situazione volga al meglio?

I Governi potrebbero fare moltissimo, se non fossero così influenzati dalle corporation e se avessero la volontà politica di servire l’interesse pubblico: approvare leggi antitrust, tutelare la sindacalizzazione, imporre alla ditte di far fronte ai costi sanitari e ambientali che generano con le loro attività e che solitamente vengono esternalizzati.

In Italia stiamo iniziando solo ora a vedere concretamente come l’influenza delle aziende si estenda anche alla proprietà intellettuale del settore delle sementi e lo abbiamo fatto scoprendo che una parte della nostra produzione di pomodori risulta fondamentalmente illegale [3]. Come vengono viste le registrazioni dei semi negli Stati Uniti?

Non conosco la vicenda a cui fai riferimento, ma nel caso dei semi brevettati ai contadini non è permesso tenersi da parte sementi da utilizzare in un secondo momento. Si tratta di uno dei modi in cui le agenzie di biotecnica si assicurano di controllare le loro proprietà intellettuali. Anche in questo caso i Governi potrebbero lavorare leggi che impediscano la brevettabilità dei semi che sono parte del retaggio di una nazione, ma, anche in questo caso, bisognerebbe manifestare una forte volontà di cambiamento.

A proposito di Governi e di volontà: sentiamo sempre più messaggi d’allarme riguardanti al come la nostra produzione alimentare non sia in grado di sostenere i numeri crescenti degli abitanti che calcano il pianeta Terra, tuttavia l’Unione Europea sostiene sarà possibile sconfiggere la fame [4] entro il 2030. Come siamo messi veramente? Siamo davvero rimasti senza cibo?

In verità, ora come ora, la produzione di cibo nelle nazioni industrializzate eccede grandemente i nostri bisogni – dunque sprechiamo cibo. Se i cambiamenti climatici dovessero proseguire nella direzione prevista, se le nazioni continueranno a incoraggiare la crescita demografica e se i metodi di agricoltura non riusciranno a dare massima priorità a comportamenti organici e rigenerativi, allora in quel caso potremmo essere effettivamente nei guai. Tuttavia, ora come ora abbiamo un sacco di cibo, semplicemente non è distribuito equamente.

Una delle soluzioni che si dice possa ottimizzare la produzione di cibo e ridurre le emissioni legate agli allevamenti intensivi è quella delle carni coltivate a livello cellulare, lei cosa ne pensa?

Penso che la carne coltivata sia una cosa da ragazzi – un giocattolino d’alta tecnologia. Si tratta di un ottimo modo per ottenere capitali di rischio. In generale sono scettica del fatto che questi prodotti possano fare la differenza nel risolvere i problemi alimentari del mondo.

Molti potrebbero trovare controversa questa sua posizione, così come in passato alcuni avrebbero potuto addirittura trovare complottistiche alcune sue rivelazioni stravolgenti. Perché una persona dovrebbe credere alle sue dichiarazioni o, in senso più ampio, come si fa a distinguere tra una buona fonte di informazioni e una che è poco affidabile?

Personalmente baso le mie opinioni sulla scienza e sui dati che leggo – e ne leggo un sacco. Non pretendo che ci sia un consenso universale; la scienza è sempre aperta a interpretazioni. Dico ciò che penso; non posso controllare se le persone mi credano o meno.
Il mio suggerimento per capire di che persone fidarsi è quello di porsi qualche semplice domanda: Il loro consiglio ha senso? È coerente con altri consigli sensati? Gli autori del suddetto consiglio hanno dei secondi fini che potrebbero renderne faziosa l’opinione? Queste persone ricevono finanziamenti o lavorano per aziende che hanno interessi economici nel vedere diffuse simili opinioni?
Per me, i consigli relativi all’alimentazione sono da soppesare con un metro di giudizio tanto semplice che il giornalista Michael Pollan è riuscito a riassumerne il concetto in sette parole: «Mangia cibo. Non troppo. Perlopiù verdure». I consigli che ti vengono forniti sono in linea con questa sintesi? Se non lo sono, sii scettico.

[di Walter Ferri]