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Contro i migranti haitiani il democratico Biden non è diverso da Trump

Vicino a Del Rio, in Texas, lungo in confine Stati Uniti-Messico, sta accadendo una delle più grandi crisi migratorie degli ultimi anni, proprio mentre Biden è al timone degli Usa [1]. Il paese a stelle e strisce, infatti, ha iniziato a rimpatriare centinaia di migranti, per lo più haitiani, con l’intento di “smaltire” giorno dopo giorno una folla di circa 12.000 persone, accampate nella città di confine in Texas da diversi giorni.

Come siamo arrivati fino a qui? Nelle ultime settimane circa 10mila migranti, in fuga da Haiti, sono approdati in massa nella cittadina di Del Rio, situata a Sud del Texas. Numeri che si vanno a sommare alle centinaia di migliaia di persone [2] che ogni mese, con costanza, si stima transitino lungo il territorio, con la speranza di raggiungere gli Usa. E ancora: a queste si aggiungono i migranti che rimangono accampati per molto tempo in attesa di un’udienza, dopo aver presentato la domanda di asilo.

Invece al momento l’unica strategia dell’amministrazione democratica, guidata dal presidente Joe Biden e dalla vice Kamala Harris, prevede una serie di rimpatri forzati (come di fatto sta accadendo) per alleggerire la pressione sul Del Rio e scoraggiare eventuali nuovi arrivi da Haiti.

Ma non sta filando tutto liscio come il Presidente avrebbe voluto. Da giorni circolano sul web foto e filmati che ritraggono gli agenti della guardia di confine a cavallo mentre usano corde e redini come fossero fruste, sui corpi dei migranti. Si vedono haitiani che tentano di attraversare il fiume fermati in modo violento e brutale, altri che corrono per sfuggire alle frustate. È grande lo sconcerto negli occhi di tutti quelli che si chiedono come sia possibile, come sia possibile che negli Stati Uniti di oggi, come ci erano stati presentati da Biden, si sia arrivati a tanto, a meno di un anno dalle sue promesse di “maggiore umanità” proprio nei confronti della comunità haitiana.

Soprattutto perché ormai Haiti è considerato uno stato senza futuro, attraversato da un’emergenza umanitaria che secondo i critici rende impossibile una vita sicura al suo interno.

Motivo per il quale qualche mese fa, prima dell’estate, Biden aveva concesso lo status di protezione temporanea a decine di migliaia di haitiani privi di documenti negli Stati Uniti. All’epoca, quando si parlava di Haiti, si raccontava di “gravi problemi di sicurezza, disordini sociali, aumento delle violazioni dei diritti umani, povertà paralizzante e mancanza di risorse di base”. Da allora le cose sono peggiorate ancora, rendendo i rimpatri ancora più insensati.

«È scioccante. Capisco che gli Stati Uniti debbano proteggere i propri confini, ma per come è attualmente Haiti, questo è l’ultimo posto dove mandare qualcuno», ha affermato al [24]Washington Post Ralph P. Chevry, membro del consiglio di amministrazione dell’Haiti Center for Socio Economic Policy di Port-au-Prince.

Rispedire “al mittente” migliaia di persone significa condannarle a vivere in un posto che sta ancora facendo i conti con l’assassinio (irrisolto) del suo presidente [25], avvenuto a luglio, e seguito da un devastante terremoto che ha ucciso 2.200 persone, lasciando gli haitiani senza case, scuole e posti dove rifugiarsi. Terreno fertile per bande di strada violente che, approfittando della situazione, tengono il controllo su quartieri e vie principali, incendiando strutture pubbliche, stuprandone gli abitanti e mettendo a segno continue rapine e uccisioni.

Alcuni testimoni, intervistati dal Washington Post, raccontano di vivere con sgomento, rabbia e paura: «Se Biden continua con queste deportazioni, non è migliore di Trump. Ho paura per la mia sicurezza qui. Non conosco nemmeno più questo paese».

[di Gloria Ferrari]