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Il Mossad israeliano ha ottimizzato gli assassinii in remoto

Il 27 novembre 2020 Mohsen Fakhrizadeh, fisico nucleare riconosciuto da molti come uomo a capo del programma nucleare iraniano, è stato brutalmente assassinato mentre si stava recando con la moglie verso la sua villa di Absard, cittadina nell’area di Teheran. La vicenda è stata inizialmente inquadrata come un agguato perpetrato da un generico squadrone della morte, tuttavia con l’avanzare delle indagini è risultato evidente che nell’area della sparatoria non fosse presente alcun sicario, dettaglio che non ha mancato di sollevare le perplessità delle guardie del corpo dello scienziato.

Nel tempo è emerso che le ricostruzioni iniziali fossero del tutto errate e che a portare avanti l’esecuzione sia stata una torretta comandata in remoto riconducibile [1] alle Forze del Mossad, l’Intelligence israeliana. Il The New York Times ha voluto andare a fondo della faccenda e lo ha fatto dedicando gli ultimi mesi a intervistare insider reperiti dagli eserciti di Iran, Stati Uniti e Israele, indagine che è culminata recentemente con la pubblicazione di un report [2] approfondito che ha analizzato i dettagli dell’intera operazione.

La manovra militare è stata un esempio perfetto di arguzia strategica e applicazione pragmatica delle più recenti tecnologie. Sarebbe quasi ammirevole, se non fosse spaventoso. Non potendo raggiungere il proprio bersaglio con i bombardamenti via UAV e non potendo fare affidamento sugli agenti locali – in passato si sono dimostrati vulnerabili a cattura [3] -, Mossad ha deciso di puntare su una soluzione estrema, affidandosi a torrette semiautomatizzate più complesse di quanto non sia lecito pensare.

Il primo problema è stato banalmente quello di allestire la postazione, ovvero trasportare e assemblare pezzo per pezzo un braccio robotico su cui era montata una mitragliatrice belga FN MAG. Superato questo ostacolo, è stato necessario superare la grande insidia della connessione in remoto, una connessione che è stata stabilita via satellite in una base operativa posta a distanza di centinaia di chilometri dal luogo dell’azione. Cosa vuol dire? In pratica il fucile ha esploso i colpi con un ritardo di circa 1.6 secondi da che il cecchino ha premuto il grilletto.

In un normale contesto, un simile scarto avrebbe reso molto complesso – se non impossibile – ottenere i risultati sperati dall’Intelligence israeliana, tuttavia il difetto è stato mitigato dall’implementazione di un’intelligenza artificiale, la quale non solo ha compensato la latenza, ma ha anche “ammortizzato” gli effetti del rinculo dell’arma, aumentandone di fatto la precisione. Una prima pioggia di proiettili ha bloccato la vettura di Fakhrizadeh, una seconda gli ha crivellato la spina dorsale uccidendolo. L’arma, montata su un furgone apparentemente abbandonato, è stata quindi fatta detonare con cariche esplosive, così da causare ulteriori danni e cancellare importanti prove.

Stando alle fonti del The New York Times, l’agguato sarebbe stato discusso nel 2019 da Yossi Cohen, l’allora direttore di Mossad, in incontri tenutisi con tutti i personaggi di spicco dell’Amministrazione Trump. Presidente, Segretario di Stato, direttore della CIA erano tutti consapevoli del piano. Piano che peraltro mirava a martellare l’establishment iraniano, gettando benzina sul fuoco che si era già acceso in occasione della controversa esecuzione [4] del Generale Maggiore Qaasem Soleimani, avvenuta in Iraq il 3 gennaio 2020.

Allora, l’Iran aveva reagito pacatamente alla smaccata provocazione, quindi Israele e Stati Uniti avrebbero deciso di rischiare il tutto per tutto e rincarare la dose, certi che il loro avversario fosse riluttante o incapace di rispondere a ulteriori omicidi. Un azzardo che avrebbe potuto portare a una guerra aperta, ma che Israele era disposta a compiere: Donald Trump non sembrava infatti in grado di vincere nuovamente le elezioni presidenziali e una simile esecuzione si è di fatto assicurata che Joe Biden abbia scarse possibilità di successo nel contrattare con l’Iran un nuovo, vitale, patto per il nucleare.

[di Walter Ferri]