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Come i big data possono impedire il commercio illegale di specie selvatiche

I big data possono essere un’arma utile per contrastare il commercio illegale di animali selvatici: è questo l’assunto su cui si basa il WildTrade [1], un progetto finanziato dall’Unione europea, che ha messo a disposizione dello stesso un budget complessivo di quasi 1,5 milioni di euro, ed a cui capo vi è Enrico Di Minin, professore associato di geografia della conservazione presso l’Università di Helsinki. Il progetto è iniziato nel 2019 e la sua fine è prevista per il 2024, anno entro il quale dovranno essere «quantificati i modelli e le tendenze globali del commercio illegale di specie selvatiche». Per riuscire a raggiungere tale scopo, appunto, verranno utilizzati i big data estratti dai social media, così da identificare «le specie selvatiche che vengono scambiate ed i motivi alla base del loro commercio» nonché «gli hotspot e i mercati globali».

La motivazione della scelta di dare vita a questo progetto può essere facilmente individuata nel fatto che «migliaia di animali selvatici e prodotti associati vengono venduti illegalmente e spediti quotidianamente in tutto il mondo». Questo costituisce una delle principali minacce per ciò che concerne il problema dell’estinzione, nei confronti del quale certamente vi è la «volontà politica di fermarlo», tuttavia l’entità e la portata del commercio illegale di specie selvatiche «sono state studiate relativamente poco rispetto ad altre minacce che interessano la conservazione della biodiversità». Ciò anche poiché, comunque, attualmente non vi sono molti dati a disposizione e risulta quindi complesso «determinare il volume del commercio illegale nonché capire quale sia la disponibilità di prodotti della fauna selvatica illegale sul mercato».

L’esigenza di portare avanti un progetto del genere e di utilizzare i big data appare dunque chiara, a maggior ragione se si considera che questo commercio illecito sia ormai «un’impresa criminale globale multimiliardaria che ora sta esplodendo online». In tal senso, basterà ricordare che anche secondo l’Interpol [2], un’organizzazione internazionale dedita alla cooperazione della polizia e al contrasto del crimine internazionale, la compravendita illegale relativa alla fauna selvatica si sta spostando online, con i trafficanti che utilizzano proprio i social media per la pubblicizzazione e la vendita.

[di Raffaele De Luca]