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Passi in avanti per un vaccino contro il cancro: al via la sperimentazione

Un vaccino a due dosi ha mostrato risultati promettenti nel trattamento dei tumori. Gli studi [1] preclinici condotti sui ratti hanno infatti evidenziato una marcata efficacia del trattamento, tanto da portare la sperimentazione alla fase I del trial clinico vero e proprio. Questa avrà inizio entro la fine dell’anno e coinvolgerà 80 pazienti oncologici con cancro ai polmoni. I ricercatori del team Oxford-AstraZeneca e del Ludwig Institute for Cancer Research hanno raggiunto questo importante traguardo nel campo dell’immunoterapia utilizzando la stessa tecnologia a vettore virale del vaccino anti-covid Vaxzevria. Perché questa scelta? Semplice, i vaccini virali ricombinanti – come hanno dimostrato diversi studi [2] – riescono ad indurre una potente risposta immunitaria attivando i linfociti CD8+ T. Cellule che, in determinate condizioni – come vedremo – possono bloccare la proliferazione tumorale. Inoltre, la stessa accelerazione alla ricerca scientifica, data proprio dalla condizione pandemica, potrebbe aver giocato un ruolo chiave nell’ottenere questo risultato.

La formulazione è eterologa, ovvero costituita da due principi sensibilmente diversi tra loro. Da un lato, contiene un poxvirus attenuato (vaccino Ankara modificato, MVA), dall’altro, come nel caso di Vaxzevria, consiste in un adenovirus che funziona da vettore virale, modificato di modo da bloccarne la replicazione per renderlo innocuo (ChAdOx1). Nel vaccino contro la Covid-19 quest’ultimo è impiegato per il trasporto della proteina Spike, mentre qui è stato combinato con una terapia immunologica già nota al fine di potenziare l’efficacia della stessa. Stiamo parlando del Blocco del checkpoint immunologico (ICB) [3], ovvero, una strategia che punta a togliere il freno alle cellule del sistema immunitario, concentrando il loro potenziale ‘distruttivo’ verso le cellule tumorali. In assenza di patogeni, infatti, le cellule immunitarie vengono naturalmente inibite per evitare infiammazioni interne. Ma gli stessi tumori, sfruttando l’interazione tra due molecole – la proteina PD-1 e il suo sito di legame PD-L1 – si difendono impedendo alle cellule del sistema immunitario – i linfociti T in particolare – di attaccarli. Il vaccino contro il cancro formulato dai ricercatori, per l’appunto, contiene anticorpi in grado di bloccare questo processo. Lo scopo è stato quindi rendere le cellule tumorali maggiormente vulnerabili ai linfociti CD8+ T stimolati dai vettori virali.

Ma come fa la terapia a colpire selettivamente il tumore? Questo è possibile grazie al riconoscimento di due antigeni di tipo MAGE presenti sulla superficie di molte tipologie di cellule tumorali. Si tratta di molecole in grado di riconoscere una famiglia di geni, codificanti per delle proteine omonime, scoperti per la prima volta nel tumore della pelle. Da qui, l’acronimo che sta per Melanoma-Associated Antigen. Il vantaggio di sfruttare queste proteine come bersagli del vaccino è la loro presenza su numerosi tessuti tumorali, combinata alla loro assenza su tessuti sani, riducendo quindi anche il rischio di possibili effetti collaterali. D’altra parte, un limite c’è. Laddove queste molecole vengono a mancare, infatti, non è stato registrato alcun beneficio clinico. Ad ogni modo – spiegano i ricercatori – il vaccino contro il cancro, denominato ChAdOx1/MVA, genera una forte risposta immunitaria da parte dei linfociti CD8+ che si infiltrano nei tumori determinando un netto miglioramento nell’efficacia della terapia ICB precedentemente citata. Certo è che la strada è ancora lunga e tortuosa: una volta terminata la fase I, prima di arrivare ad un’eventuale approvazione, l’iter prevede infatti altre due fasi cliniche che sicuramente dureranno anni. In questo caso, non è prevista nessuna autorizzazione emergenziale.

[la Redazione]