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L’improbabile guerra dei giudici contro i canali “no Green Pass” su Telegram

In Italia, ultimamente si sta intensificando l’azione degli apparati dello Stato nei confronti di coloro che i media mainstream [1] definiscono “no vax”, termine generalmente utilizzato per indicare indistintamente tutti coloro che  si oppongono non solo ai vaccini anti covid ma anche al Green Pass. Ad essere preso di mira è il social Telegram, e in maniera particolare il gruppo “Basta Dittatura”, ritenuto la base operativa da cui sono derivati alcuni episodi di violenza e descritto (erroneamente) dai media come il quartier generale di tutte le persone che si oppongono alle politiche post-pandemiche.

Come anticipato, però, non solo i giornali si stanno accanendo [2] contro questo canale: basterà ricordare che recentemente la Procura di Torino ha emesso un decreto di sequestro nei suoi confronti. Come riportato [3] dal quotidiano La Stampa infatti, che cita fonti del palazzo di Giustizia, il testo è stato inviato a una mail istituzionale di Telegram, utilizzata dall’autorità giudiziaria per fare presente la richiesta di chiudere la chat alla struttura legale del social. Il decreto fa seguito al fascicolo aperto nei giorni scorsi avente ad oggetto l’ipotesi dei reati di trattamento e diffusione illecita di dati personali e, come annunciato la settimana scorsa dalla direttrice della Polizia Postale Nunzia Ciardi, di istigazione a delinquere con finalità terroristiche aggravata dall’utilizzo di mezzi informatici. Tale reato, è appunto anche alla base delle indagini [4] sui canali Telegram ad opera della Polizia Postale, le quali devono quindi aggiungersi all’operato della Procura di Torino.

Tornando ad essa, va detto che dalla struttura legale di Telegram, la cui sede è a Dubai, non è ancora arrivata una risposta ufficiale ed al momento la chat in questione è aperta e funzionante. In tal senso non è da escludere il fatto che, se nei prossimi giorni dovesse proseguire questa situazione di stallo, i magistrati potrebbero avviare una rogatoria internazionale.

Ad ogni modo, però, non ci si deve meravigliare dell’attuale indifferenza da parte di Telegram, che si propone come una piattaforma del tutto libera e priva di censura. La sua mancata risposta, inoltre, può essere meglio compresa soprattutto se si pone l’attenzione su vicende simili che hanno coinvolto il social in passato. C’è ad esempio il caso della Germania, [5] con le autorità tedesche che negli scorsi mesi hanno avviato un procedimento contro l’app di messaggistica accusandola di non rispettare le leggi che impongono ai social media di controllare le azioni dei propri utenti e di vietare le chat con contenuti illegali. Anche quella volta, però, Telegram ha ignorato la richiesta delle autorità.

Da menzionare poi anche il caso della Bielorussia dove, come è risaputo, da oltre un anno si svolgono proteste contro il governo [6], le quali più volte sono state represse con la violenza. Ebbene, è all’interno di tale contesto che si colloca la richiesta della nota azienda multinazionale Apple, la quale nel 2020 ha invitato Telegram a chiudere 3 canali gestiti da manifestanti bielorussi in cui erano stati pubblicati i dati personali di individui appartenenti alle forze dell’ordine. A tale richiesta, però, il fondatore del social, Pavel Durov, ha risposto [7] così: «Preferirei lasciare stare i canali, ma in genere Apple non offre molta scelta ad app come Telegram in tali situazioni. Sfortunatamente, presumo che questi gruppi finiranno per essere bloccati su iOS (sistema operativo sviluppato da Apple), ma rimarranno disponibili su altre piattaforme». Successivamente Apple ha dichiarato che la richiesta non fosse quella di eliminare i 3 canali in questione ma solo i messaggi specifici contenenti dati personali, al che Durov ha risposto [8] ancora: «questi canali sono costituiti interamente da informazioni personali degli oppressori violenti. Nascondendo le loro richieste con un linguaggio vago, Apple sta cercando di non assumersi la responsabilità di quanto richiesto».

Dunque, alla luce di tutto ciò, l’attuale menefreghismo da parte di Telegram nei confronti della richiesta della procura di Torino non rappresenta di certo una novità, ed in base agli episodi sopracitati sembra alquanto improbabile che Telegram prenda in considerazione il decreto di sequestro.

[di Raffaele De Luca]