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L’Italia è diventata un crocevia per il commercio di legname illegale

L’Italia riveste ormai un ruolo chiave nel business delle importazioni in Europa di legname proveniente dalla Birmania: è quanto si apprende da un recente rapporto [1] dell’Environmental Investigation Agency (Eia), una Ong che si occupa di indagare sui crimini contro la fauna selvatica e l’ambiente. Sono infatti 27 le aziende nostrane accusate di aver fatto affari con la Birmania, commerciando illegalmente il legno ed assicurando così all’Italia la parte di leader in tal senso all’interno dell’Unione europea. Nello specifico, le ditte hanno importato soprattutto prodotti in teak (tectona grandis), un tipo di legname che gode di un buon mercato essendo resistente all’acqua e facile da lavorare. Senza dubbio quindi un buon affare sul quale, stando al rapporto, le aziende italiane hanno puntato ampiamente: le importazioni dal Paese asiatico, infatti, negli ultimi anni sono state in continua crescita e «nel 2020 l’Italia ha importato prodotti in legno corrispondenti a quasi 24 milioni di euro (27,4 milioni di dollari), ossia quasi il 66% del totale delle importazioni di legname nell’UE, derivanti dal Paese asiatico, per quell’anno».

Ad ogni modo l’Italia domina tale commercio dal 2013, anche poiché sono contemporaneamente diminuite le importazione da parte di altri Stati membri dell’Ue con il fine di cercare di rispettare le leggi comunitarie sul legname. Dal medesimo anno, infatti, in Europa la materia è regolamentata dalla EU Timber Regulation [2], che agli importatori impone la cosiddetta “due diligence”, un controllo documentale sul materiale importato per verificarne la provenienza e la legalità. Vi sono alcuni Paesi europei che però, appunto, hanno stabilito che la due diligence nei confronti del legname birmano sia impossibile da rispettare in quanto non si può comprendere dai documenti se quest’ultimo sia illegale o meno, ragion per cui le importazioni sono calate. Tuttavia le aziende italiane non sembrano aver optato per tale opzione, ed a tal proposito va ricordato che multe per il mancato rispetto di quanto imposto sono generalmente non molto elevate, il che potrebbe rappresentare uno dei motivi alla base di ciò.

A tutto ciò si aggiunga che le ditte nostrane hanno continuato ad importare il legname anche nei mesi successivi al 1° febbraio di quest’anno, giorno in cui è stato attuato il golpe militare in Birmania. A marzo, aprile e maggio 2021, infatti, dal rapporto si evince che vi sono state importazioni di prodotti in legno pari ad una cifra tra 1,3 e 1,5 milioni di euro da parte di alcune delle ditte italiane. Il tutto nonostante le sanzioni internazionali imposte contro il regime: in Birmania infatti è in corso una violazione dei diritti umani e, come si legge nel rapporto, «continuando il commercio, queste aziende stanno effettivamente sostenendo la giunta militare e la sua repressione del popolo», il che si affianca alla «distruzione delle foreste del Paese», di cui le aziende italiane si stanno rendendo complici. Ad ogni modo, però, «nessuna società confermato che cesserà di importare il teak dopo il il colpo di stato in Birmania».

[di Raffaele De Luca]