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Il Texas ha reso di fatto impossibile l’aborto, anche nei casi di stupro

Un passo indietro nei diritti delle donne è stato appena compiuto negli Stati Uniti, con l’entrata in vigore in Texas di Senate Bill 8 [1], la legge più restrittiva in suolo americano. Questa prevede il divieto dell’interruzione di gravidanza non appena possibile rilevare il battito del cuore del feto. Una decisione estrema, considerando che l’attività cardiaca può essere percepita già alla sesta settimana di gestazione, quando ancora è probabile non sapere di essere incinta. Inoltre, la legge consente ai privati di intraprendere un’azione civile contro chiunque assista o aiuti una donna ad abortire, con la possibilità di richiedere sino a 10mila dollari di danni. Questo vuol dire che si potrà intentare una causa contro medici, infermieri, operatori sanitari, persino contro i genitori che pagano per l’aborto della figlia o, per assurdo, contro il tassista che li accompagna. In tutto ciò, non è prevista l’esclusione dal divieto, dei casi di incesto e violenza sessuale.

Senate Bill 8 – non sospesa dalla Corte Suprema – ha causato non poco malcontento, tanto che è stata presentata una petizione d’emergenza da strutture sanitarie e sostenitori dei diritti dell’aborto, con l’esplicita richiesta di bloccarla. La legge è stata definita incostituzionale, poiché viola la Roe contro Wade [2], sentenza della Corte Suprema risalente al 1973, che stabilì l’interruzione di gravidanza fino alla 22esima-24esima settimana di gestazione. Anche Joe Biden ha espresso con fermezza la sua contrarietà, promettendo che farà di tutto per proteggere uno dei diritti femminili più importanti che, se ostacolato, compromette significativamente l’accesso all’assistenza sanitaria, in modo particolare alle donne delle classi sociali a basso reddito.

La legge, conosciuta anche come Heartbeat Act, è stata firmata lo scorso maggio dal governatore repubblicano Greg Abbott e contribuirà a diminuire ulteriormente e drasticamente le cliniche dove è possibile abortire. Alcune di queste, hanno raccontato di essersi viste costrette a cancellare molti appuntamenti di pazienti che avevano richiesto l’interruzione di gravidanza prima dell’entrata in vigore della legge, e che contavano sul blocco – non avvenuto – da parte della Corte Suprema; altre hanno invece affermato di aver avuto più richieste del solito nei giorni precedenti alla sentenza. Persino alcuni medici hanno preso la decisione di non praticare più l’interruzione di gravidanza, al fine di salvaguardarsi da denunce e cause legali lunghe e costose.

[di Eugenia Greco]