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USA: le manifestazioni sfociano nel tracciamento di massa, con l’aiuto di Google

Risalire ai manifestanti che si sono resi protagonisti di atti fuori legge in manifestazioni di protesta scandagliando i dati di tutti gli smartphone presenti nei paraggi, grazie al sistema di geolocalizzazione gentilmente messo a disposizione del governo da Google. È quanto sta accadendo a Kenosha, Wisconsin, dove va in scena l’apoteosi grottesca della sorveglianza in stile occidentale: il 23 agosto i cittadini sono scesi per strada per contestare l’ennesima violenza poliziesca [1] sulle minoranze di colore, si sono verificati incendi in diverse aree della città e ora le autorità stanno tracciando indiscriminatamente tutti gli abitanti che hanno la sfortuna di possedere un telefono Android.

Vero che il rapporto tra polizia statunitense e produttori di smartphone è controverso e non sempre armonioso, perlomeno quando si tratta di ottenere l’accesso a smartphone e ad altri apparecchi elettronici per scandagliarne i contenuti. Ma stiamo parlando di una pratica ormai consolidata che tuttavia solleva diverse preoccupazioni nell’opinione pubblica, nei brand tecnologici e persino nei tribunali, soprattutto quando assume le sembianze distopiche del cosiddetto “recinto di geolocalizzazione” (geofence).

Nel caso di Kenosha, per venire a capo delle identità di coloro resisi autori di danneggiamenti a danno dell’arredo urbano durante le proteste, gli investigatori hanno chiesto e ottenuto molteplici mandati per dar vita a una “pesca a strascico” dei dati GPS degli apparecchi prodotti da Google (Apple si assicura di difendere la privacy dei propri clienti con i denti). La geofence viene già di per sé considerata un’extrema ratio che molti giudici disapprovano anche quando fa riferimento a episodi più circoscritti, la sua normalizzazione nell’ambito massivo delle manifestazioni è pertanto degna di allarme.

In queste situazioni, l’azienda tecnologica cerca di tutelare la propria immagine consegnando alle autorità delle liste di identificativi anonimi, caratterizzati semplicemente da un codice, il problema è che la polizia può chiedere all’azienda di rivelare le informazioni di ogni singola voce in elenco, di fatto rendendo vano lo sforzo formale dell’azienda. I carteggi emessi nel caso di Kenosha non assicurano peraltro che i dati non rilevanti alle indagini vengano debitamente distrutti, cosa che potrebbe tradursi in una catalogazione sistematica di tutti i manifestanti.

Nonostante la reticenza di alcuni tribunali, sempre più autorità statunitensi si stanno affidando – spesso maldestramente – al geofence, con il risultato che nel solo 2020 Google abbia dovuto sottostare a più di 11.000 [2] di questi mandati, dettaglio che va a sottolineare una tendenza sempre maggiore e capillare nell’affidarsi alla sorveglianza radicata nelle nuove tecnologie. Una tendenza che dovrebbe certamente preoccupare gli statunitensi, ma anche gli italiani.

Per quanto difesi da tutele della privacy migliori di quelle concesse agli americani, i cittadini italiani hanno nondimeno assistito alle primissime avvisaglie di quelle brutture orwelliane che vengono tollerate oltreoceano. BuzzFeed [3] ha infatti recentemente rivelato come Clearview Ai, controversa azienda di riconoscimento facciale, stia cercando di radicarsi anche sul suolo europeo, con le autorità nostrane che hanno compiuto tra le 101 alle 500 ricerche sul software incriminato. Difficile ottenere maggiori dettagli a riguardo, sia la ditta in questione che la Polizia di Stato si sono dimostrate restie a discutere apertamente la faccenda.

[di Walter Ferri]