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La correlazione tra vaccini anti-Covid e infiammazioni cardiache

Negli ultimi giorni si moltiplicano i casi di cronaca di persone colpite da infiammazioni cardiache a pochi giorni di distanza dalle vaccinazioni contro il Covid-19, notizie che balzano all’onore delle cronache grazie alla popolarità dei personaggi colpiti, spesso giovani e sportivi. Gli ultimi quelli di tre giovani ciclisti belgi [1] ricoverati per gravi problemi cardiaci (uno di loro è finito in terapia intensiva) a seguito della prima dose Pfizer e quello della pallavolista italiana Francesca Marcon, colpita da pericardite, e che dopo aver ricevuto dai medici la comunicazione di non poter prendere parte alla preparazione con la sua squadra (Volley Bergamo) in vista del prossimo campionato di serie A1 si è sfogata [2] chiedendo di essere risarcita.

Casi singoli, rari, che si sono risolti positivamente, la cui correlazione con il vaccino è tutta da provare. Questa la narrazione rassicurante proposta dai media. Ma la correlazione tra la somministrazione dei sieri anti-Covid e le infiammazioni cardiache è ormai provata oltre ogni dubbio. Uno studio condotto dai ricercatori del Providence Regional Medical Center Everett di Washington, basato sull’analisi dei dati provenienti da 40 ospedali statunitensi, e pubblicato sulla rivista scientifica Jama [3]dopo revisione paritaria certifica una frequenza di 2,8 casi di miocardite o pericardite ogni 100.000 vaccinati. Nello studio si specifica che «Il numero medio mensile di casi di miocardite o miopericardite durante il periodo prevaccinale era 16,9, mentre durante la campagna vaccinale è salito a 49,1». Le persone colpite sono state in gran parte giovani (età media 36 anni) ed hanno accusato l’infiammazione cardiaca più spesso dopo la seconda dose di vaccino, mediamente a tre giorni di distanza dall’inoculazione. I casi hanno interessato principalmente i vaccinati con sieri a tecnologia mRNA (Pfizer e Moderna) ma vi sono stati due casi anche tra chi ha ricevuto il vaccino prodotto da Johnson & Johnson.

Evidentemente la situazione non è considerata trascurabile nemmeno dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention, ovvero l’organismo di controllo sulla sanità pubblica degli Usa) ha pubblicato un documento [4] nel quale rivela che «dall’aprile 2021, ci sono state più di mille segnalazioni al Vaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) di casi di infiammazione del cuore – chiamati miocardite e pericardite – che si sono verificati dopo la vaccinazione con mRNA COVID-19». In Europa, il comitato per la sicurezza dell’EMA (Agenzia europea per i medicinali) si è spinto a richiedere l’inserimento [5] di «miocardite e pericardite come nuovi effetti indesiderati nelle informazioni sul prodotto» dei vaccini Pfizer e Moderna.

Sia l’ente americano CDC che quello europea EMA precisano che si tratta di casi sporadici, che nella totalità dei casi si sono risolti positivamente dopo pochi giorni di ospedalizzazione e che, in conclusione e come sempre, «i benefici superano i rischi». Quindi avanti tutta, nonostante il fatto che anche questi effetti collaterali colpiscano in buona parte soggetti giovani e privi di patologie, gli stessi che hanno i margini di rischio più bassi dall’infezione SARS-CoV-2. Ma si può essere sicuri che i soggetti che hanno sofferto di infiammazioni cardiache dopo il vaccino potranno essere al riparo da conseguenze a medio e lungo termine? Il dubbio viene anche questa volta da una fonte ufficiale, l’agenzia governativa statunitense National Heart, Lung, and Blood Institute (NHLBI) che nella propria scheda sulle infezioni cardiache precisa che [6] «le persone con miocardite sono a rischio di un evento ripetuto per anni dopo la prima occorrenza» e che i soggetti colpiti, seppur guariti, dietro indicazione medica dovranno continuare ad assumere farmaci «per complicazioni come insufficienza cardiaca o aritmie o per condizioni mediche che potrebbero aver contribuito a endocardite, miocardite o pericardite spesso per diverse settimane e in alcuni casi per tutta la vita».