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Torino, lo scrittore Marco Boba sottoposto a sorveglianza speciale

Il 7 agosto 2021 si è confermato positivo l’esito della richiesta di sorveglianza speciale presentata dalla Questura di Torino per lo scrittore e militante Marco Boba. Questi, ad aprile, era stato messo a processo [1] per aver scritto un romanzo di matrice anarchica, intitolato «Io non sono come voi.» Nel recente verdetto, il libro, come anche la collaborazione dell’autore con la stazione radio anarchica Radio Blackout, non è annoverato tra i motivi per imporre la sorveglianza. A motivarla è la militanza: la presunta “pericolosità sociale” di Boba.

La condanna è di un anno e mezzo di sorveglianza speciale, con obbligo di rientro notturno e divieto di frequentare manifestazioni, pregiudicati e misurati. Quella della sorveglianza speciale è una misura che mira a colpire la quotidianità e le relazioni del condannato e che è stata frequentemente accusata di autoritarismo, di essere in aperta violazione dei diritti umani. La pericolosità sociale sarebbe infatti solo un malcelato reato di opinione. Il tribunale di Torino è inoltre conosciuto per le sue numerose richieste di sorveglianza speciale, presentate spesso per colpire attivisti NoTav e altre figure militanti si potrebbe dire recidive.

Si tratta di una misura di natura preventiva, nata in Italia durante il fascismo e usata frequentemente verso militanti di lunga data. «La refrattarietà a piegare la testa, è prova di pericolosità sociale. Non è sufficiente scontare le proprie condanne, ma è anche necessario abiurare la propria identità, la propria appartenenza, e dimostrare di avere assorbito un’altra ideologia, che ci vuole silenti, laboriosi, onesti e rassegnati» si legge sul gruppo Facebook [2] che sostiene Boba. Boba è propria una di queste figure: militante da quando aveva appena 15 anni, anarchico, coinvolto nelle attività presso lo spazio occupato El Paso, collaboratore per la stazione radio Blackout, voce dei cittadini anarchici di Torino, è in tutto e per tutto un refrattario.

Insomma, ad essere punita dalla sorveglianza speciale non è un’azione di tipo criminale, ma un’attitudine, un comportamento. Stando al Codice penale [3] (articolo 203), infatti, la pericolosità sociale si applica a persone che possono anche non essere imputabili di uno specifico reato, ma che è “probabile” commettano reati in futuro.

Che il tribunale torinese non sia riuscito ad usare il romanzo di Boba come prova della sua presunta pericolosità sociale è un fatto positivo: come ha dichiarato la casa editrice Eris Edizioni [4], commentare sui libri di finzione spetta alla critica letteraria e non ai tribunali. Dall’altro lato però il tribunale è riuscito ancora una volta a condannare una persona solo ed esclusivamente in base alla sua attitudine personale, incline al non accettare le ingiustizie.

[di Anita Ishaq]