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Giustizia: la riforma Cartabia facilita l’archiviazione dei reati ambientali

Il primo agosto sono partite le discussioni sui numerosi emendamenti che sono stati suggeriti per la recente riforma della giustizia. Proposta dall’attuale ministro della giustizia Marta Cartabia, la legge è stata approvata all’unanimità dal Consiglio dei Ministri lo scorso 8 luglio, ma è stata poi pesantemente criticata. Ad attrarre le maggiori perplessità è stata l’introduzione del concetto di “improcedibilità” per processi che superino dei tempi limiti prestabiliti. Già accusata di favorire l’archiviazione di reati molto gravi come quelli di matrice mafiosa, l’improcedibilità potrebbe colpire anche i reati di disastro ambientale, annullando più di 20 anni di lotta che gli ambientalisti hanno condotto per vederli annoverati nel nostro codice penale.

La riforma della giustizia proposta da Marta Cartabia ha origine nei rapporti italiani con l’Unione Europea e con il recente piano di ripresa post-pandemia. L’Italia è stata ripresa molte volte dall’Europa, nel corso degli anni, per la lentezza dei suoi processi penali e civili – che non ha eguali all’interno dell’Unione. Ora, l’UE ha deciso di imporre all’Italia una riforma dei tempi del suo sistema giudiziario, per poter accedere ai finanziamenti post-covid del programma Next Generation EU.

Lo scopo della legge è quindi fondamentalmente quello di abbreviare i tempi giudiziari, e proprio per questo è stato introdotto il tanto discusso concetto di “improcedibilità”. Il superamento di certi termini temporali per il giudizio, di appello e di cassazione (rispettivamente due anni e uno) determina automaticamente che il caso non è più perseguibile. Si archivia il processo, anche se non scompare il reato. Questo servirebbe a rendere il procedimento più veloce ed efficiente, ma è stato criticato perché proprio la lentezza ed inefficienza strutturali del nostro sistema giudiziario potrebbero causare l’improcedibilità di molti crimini gravi. Un risultato piuttosto paradossale.

Alcuni crimini considerati particolarmente gravi, come i reati di mafia, di terrorismo, violenza sessuale aggravata e traffico di stupefacenti, sono stati esclusi dall’improcedibilità. Questo non è però avvenuto per i reati di disastro ambientale, cui evidentemente non è stato dato molto peso. WWF, Legambiente e Greenpeace hanno contestato questa decisione negligente, e hanno proposto a loro volta un emendamento: inserire i reati di disastro ambientale nella lista dei reati non soggetti all’improcedibilità. «Senza la modifica chiesta da Legambiente, WWF e Greenpeace al testo presentato dal Governo, la cosiddetta riforma Cartabia, verrà di fatto tradita qualsiasi speranza di ottenere giustizia in nome del popolo inquinato», hanno dichiarato in una nota [1].

Il reato di disastro ambientale è stato ufficializzato in Italia con l’introduzione nel codice penale dell’articolo 452 quater [2]. L’articolo definisce come disastro ambientale l’alterazione irreversibile (o reversibile ma particolarmente onerosa) dell’equilibrio di un ecosistema, soprattutto se comporta un’offesa alla pubblica incolumità. Questo provvedimento ha permesso di punire delitti ambientali come l’ex Ilva di Taranto, la discarica Resit in Campania, i Pfas in Veneto. Con la riforma Cartabia, si rischia di fare un enorme passo indietro in questo senso. Infatti, centinaia di casi di disastro ambientale potrebbero molto semplicemente essere archiviati come “improcedibili”.

Secondo Legambiente, l’ecomafia è un business che vale quasi 20 miliardi di euro. È oltretutto un business in crescita costante, ma con i recenti aggiustamenti del sistema penale, ottenuti con grande fatica, si stava piano piano arginando il problema. Il rischio è che tutti questi avanzamenti siano annullati con l’attuale riforma della giustizia.

[di Anita Ishaq]