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La NATO incomincia a temere un Afghanistan talebano

Dopo quasi vent’anni di occupazione militare, Stati Uniti e NATO stanno afferrando armi e bagagli con l’intenzione di lasciare l’Afghanistan a sé stessa, abbandonandola di fatto alle mire espansionistiche degli eserciti talebani. La cosa è chiara a chiunque si ritagli il tempo di osservare quanto stia accadendo, ma a evidenziare chiaramente quanto l’allontanamento americano sia stato deleterio alla stabilità del Governo ufficiale è lo stesso Ashraf Ghani [1], ovvero il Presidente riconosciuto da quegli stessi poteri Occidentali che si stanno ritirando dall’area.

Ghani confida che le truppe talebane si dimostreranno incapaci di mantenere le città recentemente catturate e che nel giro di sei mesi lo status quo verrà ristabilito, eppure è innegabile che le Forze di opposizione stiano velocemente assalendo molti dei punti nevralgici della nazione, con Lashkar Gah, Kandahar e Herat che sono tra i bersagli più rilevanti delle loro mire. Gli scontri sono sanguinosi e i civili coinvolti si contano a centinaia.

Proprio l’esistenza massiccia di vittime e di profughi innocenti è divenuta la leva prediletta con cui la narrazione statunitense cerca di dimostrare che i talebani debbano essere fermati. Secondo USA e Regno Unito, i guerriglieri starebbero sistematicamente «massacrando i civili», nonché compiendo svariati crimini di guerra con il solo intento crudele di vendicarsi per le sconfitte subite in passato. Accuse che, ovviamente, i talebani negano con determinazione.

Che gli innocenti finiscano disgraziatamente a patire gli effetti degli scontri è tristemente un dato di fatto [2], tuttavia i comandanti degli insorti stanno compiendo sforzi immensi per sgravarsi dalla retorica che li disegna come sanguinari e assassini, crudeli aguzzini in linea con le tendenze Daesh.

Questo loro impegno lo si nota soprattutto nella progressiva istituzionalizzazione profonda della loro struttura organizzativa, un procedimento che si è tanto raffinato che il Ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, ha recentemente accolto una delegazione di combattenti [3] per discutere il futuro dei rapporti diplomatici tra Cina e Afghanistan.

Russia, Cina, Pakistan e persino gli Stati Uniti stanno seriamente prendendo in considerazione la possibilità che i talebani riescano a mettere le mani su di una fetta rilevante della regione, una prospettiva che agli USA giunge estremamente sgradita.

Il Pentagono si sta dunque preparando a contrastare l’avanzata dei guerriglieri mujahidin imbastendo bombardamenti “mirati” [4] da effettuarsi attraverso una flotta di velivoli automatizzati. Una mossa ironica, se si considera che ai talebani vengono contestati i danni causati alla popolazione locale e che i droni siano noti per avere un vertiginoso tasso di vittime collaterali [5].

In ogni caso gli Stati Uniti portano le mani avanti, sostenendo sin da subito che il conquistare l’Afghanistan con la forza non sia sufficiente a garantire all’esercito talebano alcun riconoscimento internazionale. Parallelamente, il Regno Unito non manca di fornire assistenza alla retorica dell’alleato d’oltreoceano e, facendo riferimento al fatto che i soldati talebani siano accusati di crimini di guerra, dichiara via social [6]: «se ora non siete in grado di controllare i vostri combattenti, in futuro non avrete diritto a un ruolo nel Governo».

[di Walter Ferri]