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Cosa sta succedendo in Tunisia: rinnovamento democratico o colpo di stato?

La sera di domenica 25 luglio, il presidente tunisino Kais Saied ha sospeso i lavori del parlamento e licenziato il primo ministro Mechichi, dichiarando l’intenzione di assumerne uno nuovo di sua scelta. La mossa è stata percepita dall’opposizione come un colpo di stato, mirato a colpire una democrazia ancora giovane e fragile, e ha scatenato una serie di proteste. Sostenitori e oppositori del presidente si sono scontrati nei pressi del parlamento in quella che sembrerebbe la più grave crisi politica che la Tunisia abbia attraversato dalla rivoluzione del 2011.

Kais Saied, presidente dal 2019, è una figura popolare in Tunisia: è conosciuto come colui che non spese nulla in campagna elettorale, indipendente e quindi simbolo di integrità. Molto presto ha iniziato a manifestare il desiderio di rinnovare la costituzione tunisina [1], lamentando gli scarsi poteri del presidente, che ha influenza in maniera diretta solo sugli affari esteri e la difesa, dovendo invece sottostare al parlamento in quanto alle ordinarie questioni amministrative. Con un vastissimo appoggio popolare, alimentato dall’insofferenza verso il governo, Saied si è autonominato capo dell’esecutivo, sciogliendo il parlamento e radunandovi intorno l’esercito per impedire l’ingresso. Il gesto è stato accolto con entusiamo dai sostenitori, che sono scesi in piazza ad esprimere il loro sostegno.

Ad opporsi molto vocalmente alla mossa e a gridare al colpo di stato è stato invece Rachid Ghannouchi, presidente del parlamento e leader del partito islamico moderato Ennahda, il quale ha invitato i cittadini tunisini a protestare e a richiedere la restaurazione dell’ordine democratico. Nonostante Saied si sia giustificato facendo appello all’articolo 80 della costituzione tunisina [2], secondo cui il parlamento può essere congelato, in casi di emergenza, per un periodo di massimo 30 giorni, Ghannouchi ha dipinto il gesto come una svolta autoritaria. Anche la Turchia ha espresso dissenso, probabilmente per i suoi legami con il partito islamista di Ghannouchi.

La Tunisia è stato l’unico paese ad aver costruito una democrazia relativamente stabile in seguito alla Primavera araba. Da diversi anni, però, si trova in una crisi politica sempre più impellente: il parlamento è estremamente frammentato (nessun partito ha più del 25% dei voti) e le tensioni tra i partiti sono molto forti. A tutto ciò si aggiunge il fatto che l’economia è stagnante e che la pandemia ha colpito duramente, facendo della Tunisia uno dei paesi con il tasso di mortalità da covid più alto del continente.

Non è ancora chiaro se le decisioni prese dal presidente siano dettate dalla volontà di approfittare dell’emergenza per accentrare i poteri nelle proprie mani o se si tratti di un genuino tentativo di migliorare il funzionamento della democrazia del paese. Sicuramente la decisione di Saied di imporre il coprifuoco, anticipare le elezioni e chiudere la sede tunisina di Al-Jazeera [3], vicina ai partiti islamici, sono eventi a cui guardare con una sana dose di sospetto.

[di Anita Ishaq]