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Argentina, vietati gli allevamenti di salmoni: è il primo caso al mondo

Nella provincia più a sud dell’Argentina, la Terra del Fuoco, è stato approvato all’unanimità il disegno di legge [1] che vieta l’allevamento del salmone in recinti a rete aperta. Si tratta del primo paese al mondo ad abolire tale pratica. Il Canale di Beagle, al confine col Cile, ha visto per anni questo tipo di allevamento intensivo, fortemente dannoso per l’economia e l’ambiente, in cui il salmone viene ingrassato in “gabbie galleggianti”, solitamente situate in baie e fiordi lungo le coste. Una tecnica introdotta dalla Norvegia alla fine degli anni ’60, la quale negli ultimi decenni è cresciuta esponenzialmente. Ma con il rifiuto sociale dei principali paesi produttori e una serie di scandali esplosi per via della mancanza di trasparenza, della fuga e mortalità dei pesci e l’uso spropositato di antibiotici, il paese nordico ha portato la sua produzione in Argentina per beneficiare delle acque incontaminate del Canale di Beagle, firmando un accordo nel 2019 con l’allora governo provinciale.

L’industria del salmone non è mai stata accettata dalla gente del posto, la quale non ha esitato a fare sentire la sua voce unendosi alle vicine comunità cilene, a varie organizzazioni ambientaliste e al marchio di abbigliamento outdoor Patagonia, noto per il suo attivismo ambientale. Ed ecco il cambiamento: l’attuale governo ha deciso di vietare l’allevamento intensivo dei salmoni nelle acque della Terra del Fuoco, autorizzando esclusivamente la coltivazione e lo stoccaggio di trote per promuovere la pesca sportiva, una delle principali attrazioni turistiche e non industriali del posto.

Un passo importantissimo per il benessere delle comunità e dell’ambiente. I salmoni di allevamento vengono infatti nutriti con olio di pesce e pesci più piccoli, piume, lievito transgenico, soia e grasso di pollo, diversamente dal salmone selvatico che prende il suo tipico colore nutrendosi di krill e gamberetti. Le conseguenze di questo tipo di produzione includono sicuramente l’alto tasso di mortalità dell’animale, l’aumento delle fioriture di alghe tossiche, l’alterazione degli ecosistemi, la resistenza batterica e, naturalmente, un enorme impatto socio-ambientale. Per tali motivi, adesso si spera che il cambiamento in atto in Argentina – il quale dimostra quanto sia possibile dirigersi verso un nuovo e migliore modello economico a beneficio delle comunità locali e dello sviluppo sostenibile – coinvolga altri paesi come il Cile, il secondo produttore di salmone al mondo, che porta sulle spalle una lunga serie di disastri ambientali. 

[di Eugenia Greco]