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Vecchi libri che raccontano l’oggi: I persuasori occulti – Vance Packard

Se il problema fosse semplicemente la persuasione, non ci sarebbe bisogno di dilungarsi troppo. Basterebbe Cicerone (I secolo a.C.) e il suo impegno a far convivere, nell’eloquenza, nei discorsi, e quindi nelle decisioni politiche conseguenti, i sentimenti e la ragione, l’etica e la logica. Ma i tempi sono cambiati e da qualche decennio la netta sensazione è che sia prevalsa la persuasione senza contenuti. Era l’ottobre 1990 e il presidente della Repubblica Federale di Germania dichiarò: «Dobbiamo riempire di contenuti questa Germania che abbiamo riunificato». Il significato era scritto nel futuro, ma il fatto era già compiuto.

In realtà, la questione della persuasione aveva già subito svolte ancora prima. 1952: nella campagna presidenziale Usa, Eisenhower, il vincitore, repubblicano, si era avvalso del famoso slogan “I like Ike” (Ike era il suo soprannome) e i guru della comunicazione, insieme a illustri professori di linguistica, primo fra tutti Roman Jakobson, si servirono di quell’esempio per dimostrare che anche la politica stava subendo il fascino della pubblicità e che i candidati erano diventati molto simili ai detersivi, ai prodotti di consumo.
In quegli anni, precisamente nel 1957, uscivano tre libri importanti. I persuasori occulti di Vance Packard, Le star di Edgard Morin, Miti d’oggi di Roland Barthes. Di Morin e Barthes parlerò magari un’altra volta.

Packard, giornalista e sociologo, fa una accurata, spietata, analisi delle campagne pubblicitarie che circolavano negli Usa, svela i meccanismi subliminali dei microspot che si insinuano nelle trasmissioni televisive per spingere in incognito certi prodotti, riferisce della crescente importanza degli acquisti di impulso nei supermarket (per cui la gente entra per acquistare due-tre cose di cui ha bisogno ed esce invece con un carrello carico di merce), vede all’opera la manipolazione strategica studiata dai grandi marchi insieme alle agenzie di marketing, dove dominano gli psicologi, sottolinea come in realtà non si vendano prodotti ma atteggiamenti, primo fra i quali la “sicurezza emotiva”, facendo leva sulla propensione narcisistica del consumatore, il quale peraltro è molto abile a nasconderla. Quando infatti viene intervistato/a sulle ragioni delle sue scelte, lui o lei si inventano risposte generiche o false e, se sono imbarazzati, dichiarano serenamente «Why not?» oppure «I don’t know».

La ricerca motivazionale, posta in essere, non mira, ovviamente, soltanto a evidenziare i meccanismi inconsci che spingono all’acquisto bensì a servirsene per manipolarli con procedimenti occulti. I venditori vogliono “stampare nel cervello” dei consumatori gli elogi dei prodotti, creano bisogni di cui il pubblico non è cosciente, fanno leva sulle forme irrazionali, disegnano orizzonti illusori, formano la propensione a essere convinti senza conoscerne davvero le ragioni.

Il libro di Packard è molto attraente, in fondo è la preistoria del mondo capitalistico dei media attuali, e arriva a conclusioni inquietanti: “c’è chi si comporta come se l’uomo esistesse solo per essere manipolato”; i persuasori occulti vogliono far credere che “ogni loro vittoria sia una vittoria di tutta la nazione”. E per difenderci? Guai a razionalizzare tutti i nostri atti quotidiani, non ce la faremmo mai, ne usciremmo frustrati: “talvolta – conclude Packard – è più piacevole o più facile essere illogici. Ma preferisco essere illogico di mia libera volontà, senza che nessuno mi ci induca con l’inganno”.

Sentimenti e logica, realtà e mito. I tempi sono molto differenti da quelli di Cicerone ma anche da quando, nel 1780, Federico di Prussia, aveva chiamato grandi intellettuali europei a discutere se il popolo doveva essere ingannato. Il clima illuministico favorì allora risposte dettate dalla dèa Ragione, non dal sentimento o dalla passione, e quindi più dal calcolo che dall’istinto. Condorcet, ad esempio, si chiede se una opinione falsa o infondata possa essere utile, e se una nazione possa trarne vantaggio dal crederla vera. De Castillon, professore di scienze, afferma che il popolo “trae più vantaggio da un errore benefico che da una realtà perniciosa”, e perciò va condotto da un errore più grande a uno minore, e così via fino a giungere alla verità: “e nell’attesa rafforzatelo in modo che giunto alla meta, possa guardarsi attorno senza pericolo di vertigini”. Anche di me e di te, lettore – dicevano gli Antichi – narra questa favola.

[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]