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Incendi: quando le tecnologie di sorveglianza possono fare del bene

Prima della pandemia di coronavirus, l’attenzione dell’intero globo era focalizzata sull’impressionante incendio che ha devastato l’entroterra dell’Australia. L’Oceania non è però l’unica area soggetta a roghi cataclismatici: la California passa tra le fiamme praticamente ogni estate e anche l’Italia sta dimostrando sempre più di essere vulnerabile a questo genere di minaccia [1].

Gli incendi tendono a divampare nella natura, oltre che per questioni dolose, a causa dell’incuria della silvicoltura, di un monitoraggio pieno di falle e di un avanzamento del cambiamento climatico che sta aggravando la situazione dei sottoboschi più torridi. In tutti i casi, il promuovere delle soluzioni effettive a questi problemi comporterebbe costi economici che vanno ben oltre a quanto normalmente a disposizione delle guardie forestali.

Per cercare quantomeno di prevenire le situazioni drammatiche, i ricercatori stanno rodando diversi sistemi di monitoraggio, i quali dovrebbero dimostrarsi in grado di lanciare gli opportuni allarmi sin dalle primissime avvisaglie degli incendi, così che le autorità possano intervenire prontamente per circoscrivere l’area.

La Curtin University australiana, per esempio, sta valutando di adoperare i dati Synthetic Aperture Radar (SAR) [2] forniti dai satelliti della European Space Agency (ESA), ovvero di adoperare apparecchi che, direttamente dall’orbita terrestre, riescano a percepire la morfologia delle foreste a prescindere dal fumo e dalle situazioni meteorologiche. Anche in questo caso, però, non tutti sono d’accordo che il rapporto costi-benefici sia adeguatamente equilibrato.

Ben più pragmatica è la soluzione che stanno iniziando a imbastire a nord di San Francisco: il sistema di monitoraggio ALERTWildfire [3]. Si tratta di semplici torri di vedetta sulla cui cima viene posta una camera da presa che scatta un’istantanea della foresta ogni dieci secondi.

Questa sovrabbondanza di immagini viene dunque gestita da un guardaboschi digitale, da un’intelligenza artificiale che, seppur sia ancora in fase di addestramento, si è già dimostrata in grado di far guadagnare preziosi minuti alle squadre di intervento. Lo strumento, di fatto, confronta l’ultimo scatto eseguito con le immagini dell’area e se percepisce una quale alterazione nel paesaggio provvede immediatamente a lanciare l’allarme.

In Italia, il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali (DAGRI) di Firenze ha invece messo in campo la FuelGeoData [4], un’app con cui i cittadini possono censire e geolocalizzare la presenza di combustibili forestali. Un approccio “dal basso” decisamente più artigianale che, nella sua semplicità, potrebbe fornire un effettivo contributo nel mappare la situazione, nonché a costruire un archivio di informazioni che verranno poi elaborate nel 2022.

Satelliti, intelligenze artificiali e applicazioni invadenti per smartphone: tutte tecniche che solitamente vediamo asservite alle mire di politici e aziendali, ma che adoperate con fini virtuosi possono effettivamente migliorare le nostre condizioni di vita e aiutare il pianeta. Come sempre il problema non è la tecnologia in sé ma l’uso che se ne fa.

[di Walter Ferri]