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L’Italia aumenta le forze in Gibuti: il microstato da cui si controlla il Corno d’Africa

La piccola città stato della Repubblica di Gibuti ex colonia francese, nell’ottica dell’accresciuta attenzione politico-militare per la sua posizione geo-strategica, è diventata un punto fondamentale per tutto il territorio del Corno d’Africa. Pur non avendo risorse naturali, è però percepito come Paese stabile in una regione assai critica. Infatti il Gibuti confina con stati spesso teatro di conflitti come l’Eritrea a nord, l’Etiopia a ovest, il Somaliland (stato non riconosciuto separatosi dalla Somalia) a sud-est e si affaccia sul Golfo di Aden e sul Mar Rosso con lo Yemen, nella penisola araba, a soli 30 km dalla costa. Da non dimenticare più a nord, anche se non confinante, la tormentata zona sub-sahariana del Sahel. E proprio per questa sua posizione le potenze globali si concentrano sul Gibuti per controllare tutto il territorio dell’Africa orientale sia per interessi politici che commerciali.

A tal proposito il Ministro della Difesa Guerini aveva incontrato a Roma nel gennaio 2020 il suo omologo gibutiano Bourhan siglando un nuovo accordo bilaterale in ambito ricerca e sviluppo, supporto logistico, acquisizione di prodotti e servizi e attività formative e addestrative. Una nota della Difesa evidenzia: «Fra le modalità attuative dell’accordo sono previsti scambi di esperienze tra esperti e partecipazione a corsi ed esercitazioni da parte del personale delle Forze Armate».

Nell’ambito di “Atalanta”, la missione diplomatico-militare dell’UE per prevenire e reprimere gli atti di pirateria marittima lungo le coste degli stati del Corno d’Africa iniziata nel dicembre 2008, le forze armate italiane nell’ottobre 2013 hanno installato in Gibuti, la BMIS (Base Militare Italiana di Supporto). Lo Stato maggiore della difesa italiano ha comunicato: «La BMIS di Gibuti è stata realizzata in un’area che è crocevia strategico per le linee di comunicazione marittime che dal Mediterraneo sono dirette, attraverso il Canale di Suez, verso il Golfo Persico, il Sud Est asiatico, il Sudafrica e viceversa».

Attualmente nella base italiana di Gibuti possono essere presenti fino a 117 militari e 18 mezzi terrestri. In particolare nella BMIS Amedeo Guillet si trovano nuclei della Brigata San Marco destinati all’imbarco sui mercantili in transito diretti nell’Oceano Indiano e i team delle forze speciali interforze. Presente anche un contingente dell’arma dei Carabinieri, che ha addestrato oltre 2,600 unità della Polizia Somala, della Polizia Nazionale e della Gendarmeria Gibutiana. In particolare sono stati implementati [1] corsi di preparazione per interventi ad alto rischio e all’uso progressivo della forza in ambito securitario-militare per il personale delle unità mobili para-militari dette “Darawish”.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e l’UE hanno previsto un sostanziale aumento delle unità para-militari sotto addestramento, ma pare non abbiano tenuto conto della pericolosità di tale decisione. Come asserisce [2] l’analista statunitense Vanda Felbab-Brown, «le unità Darawish operano indipendentemente dall’Alleanza Nazionale Somala e agiscono sotto la direzione dei vari presidenti degli stati membri della federazione. Risultano quindi essere una base di potere importante per l’élite politica. Una vera e propria guardia pretoriana che fornisce protezione e minaccia contro i rivali». Le Nazioni Unite e Bruxelles sembra che ignorino anche le autorevoli denunce di abusi e violazioni dei diritti umani da parte delle forze Darawish.

[di Federico Mels Colloredo]