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Autostrade: i Benetton incassano 2,4 mld dallo Stato e festeggiano in borsa

A quasi tre anni dalla tragedia del ponte Morandi la “revoca” delle concessioni autostradali – che secondo il governo dell’epoca, il Conte I con M5S e Lega, sarebbe dovuta essere rapida e senza indennizzi – si conclude con un assegno da due miliardi e quattrocento milioni di euro staccato alla famiglia Benetton. Un incasso di oltre 55 milioni di euro per ogni vittima del crollo. Un acquisto a prezzi di mercato, che la società di famiglia che controllava Autostrade per l’Italia, Atlantia, ha accettato dopo una lunga trattativa. Un negoziato evidentemente fruttuoso, tanto che dopo l’annuncio la società dei Benetton ha fatto un bel balzo in borsa chiudendo la giornata con un + 2,84%.

Il prezzo che complessivamente la cordata guidata da Cassa Depositi e Prestiti (ovvero il Ministero del Tesoro) pagherà ad Atlantia per rilevare le sue quote di Autostrade per l’Italia (l’88,06%) è di 7,9 miliardi. Una bella plusvalenza a spese della collettività per il consorzio privato dei Benetton che avrebbe dovuto fare la manutenzione del ponte Morandi di Genova, crollato come una struttura di sabbia il 14 agosto 2018, mentre era attraversato da autotrasportatori e vacanzieri. Nel crollo morirono in 43. Samuele, il più piccolo tra loro,  aveva appena 7 anni e mezzo. Il processo per stabilire le responsabilità durerà ancora a lungo, ma i PM nelle quasi 2 mila pagine complessive di accuse, che vanno dal disastro e omicidio colposo all’attentato alla sicurezza dei trasporti alla rimozione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, non hanno usato mezzi termini per descrivere le mancanze e la gravità dei fatti contestati. Parlando di «incoscienza», di «negligenza», di «immobilismo», di «comunicazioni incomplete, equivoche, fuorvianti», oltreché di «manutenzioni inadeguate».

Sconcerto per la conclusione della trattativa hanno espresso i parenti delle vittime. Avevano chiesto fino all’ultimo che l’accordo non fosse siglato e ora la loro portavoce, Egle Possetti, afferma: «Siamo molto amareggiati. Non sono sorpresa dell’ok degli azionisti di Atlantia, sarebbe stato come rifiutare un terno al lotto. Io auspico che, visto che Cassa depositi e prestiti avrà l’ultima parola, ci sia un ripensamento e che la contrattazione non vada avanti».

L’alternativa della nazionalizzazione senza indennizzo tramite la revoca della concessione sarebbe stata possibile. Invocando la violazione del comma B dell’articolo 3 della concessione, che prevede tra gli obblighi del concessionario “il mantenimento della funzionalità delle infrastrutture concesse attraverso la manutenzione e la riparazione tempestiva delle stesse”, si sarebbe potuto procedere alla revoca. Atlantia avrebbe certamente fatto causa: se i giudici avessero dato ragione allo Stato, certificando la mancata manutenzione, la revoca sarebbe stata senza indennizzo e i Benetton non avrebbero incassato nemmeno un euro. Se invece i giudici avessero dato ragione ad Atlantia lo Stato avrebbe dovuto sborsare un indennizzo pari ai mancati introiti fino alla scadenza naturale della concessione che era fissata al 2038. Secondo le stime sarebbero stati circa 10 miliardi. Nella peggiore delle ipotesi, quindi, si sarebbe dovuto versare poco più di quanto si è scelto liberamente di pagare. Non per niente la società dei Benetton festeggia in borsa.