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Le autorità sanitarie ammettono: abbiamo sovrastimato rischio del Covid all’aperto

Le misure imposte per l’utilizzo delle mascherine all’aperto si sono basate su studi sbagliati e su stime completamente inesatte. A confermarlo è Il Centers for Disease Control and Prevention (Cdc), cioè l’agenzia governativa di controllo sulla sanità negli Stati Uniti.

La questione è stata sollevata da un’articolo [1] pubblicato dal New York Times nel quale si afferma che il Cdc si affidò a studi completamente sbagliati quando raccomandò l’uso delle mascherine all’aperto e certificò, in un documento ufficiale [2], che «meno del 10% delle infezioni avviene all’aperto». Una esagerazione enorme, specifica l’articolo, visto che le ricerche scientifiche certificano un tasso di infezioni decisamente inferiore all’1%, probabilmente anche allo 0,1%. Al massimo un caso su mille all’aperto è anche quanto riporta uno studio pubblicato in Irlanda [3] e basato sull’analisi di oltre 230.000 casi.

L’articolo del NYT si spinge oltre e, dati e studi alla mano, afferma che in verità «non esiste una singola infezione da Covid documentata in nessuna parte del mondo da interazioni casuali all’aperto, come camminare accanto a qualcuno per strada o mangiare a un tavolo vicino». Conclude l’articolo: «dire che meno del 10% dei contagi avviene all’aperto è come dire che gli squali attaccano meno di 20.000 nuotatori all’anno, mentre il numero mondiale effettivo è di circa 150. È vero ma anche enormemente ingannevole».

Obiezioni alle quali il Centers for Disease Control and Prevention ha risposto in una nota, confermano timidamente che in effetti si sono sbagliati. «I dati in nostro possesso supportano l’ipotesi che il rischio di trasmissione all’esterno sia basso. CDC non può fornire il livello di rischio specifico per ogni attività e preferisce sbagliare sul lato della protezione». Insomma: quando hanno stilato i documenti in realtà gli studi facevano già pensare che il livello dei contagi all’aperto fosse quasi trascurabile ma hanno scelto di sovrastimarlo.

Una dinamica che si è verificata non solo negli Usa ma ancor di più in tutti i paesi europei, Italia in testa. Qua infatti le misure di distanziamento, divieti e coprifuoco all’aperto sono state molto più severe di quelle che oggi si contestano negli Usa. Misure che, studi alla mano, non si sono basate su nessun dato scientifico affidabile e oggi possiamo definire assolutamente anti-scientifiche. Il fatto di aver preferito “sbagliare sul lato della protezione” ad inizio emergenza può anche essere comprensibile, ma non rivedere le norme che limitano le libertà costituzionali all’aperto ora che – ormai da mesi – la scienza ha dimostrato che sono del tutto ingiustificate, non è ammissibile.