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Programma “Signature Reduction”: il reparto segreto del Pentagono è stato rivelato

In questi giorni la testata Newsweek [1] ha portato alla luce i risultati di due anni di indagini che hanno esplorato alcuni impressionanti retroscena del Pentagono. Nello specifico, il giornale è riuscito a dipingere uno spaccato delle operazioni occulte che cadono in seno al Dipartimento della Difesa statunitense, evidenziando con una certa brutalità quanto il sistema di controllo a stelle e strisce sia a suo agio con l’aggirare quelle stesse regole che vorrebbe imporre alle altre nazioni.

A impressionare non è tanto il fatto che esistano manovre sottobanco – quello è scontato -, piuttosto la loro portata: il rapporto pubblicato stima che l’“armata segreta” sia composta da almeno 60.000 collaboratori, una mole umana che supera di decine di volte le dimensioni degli operatori clandestini che sono a disposizione della CIA. Anche messa così, si tratta di una stima per difetto, visto che ovviamente non esiste alcuna traccia formale dell’esistenza del programma – noto informalmente come “signature reduction” – e che molte di queste strategie vengano subappaltate ad aziende private che ben si guardano dallo scoprire le proprie carte.

Contratti classificati da 900 milioni di dollari all’anno sarebbero infatti siglati con circa 130 ditte che si preoccuperebbero in prima persona di intavolare manovre che violano le leggi nazionali, i codici di condotta militari e le Convenzioni di Ginevra. Circa la metà di queste si occuperebbe del gestire i famigerati “contractors” militari, ovvero coloro che un tempo venivano più opportunamente etichettati come “mercenari”; soldati ombra e personale sotto copertura che si fa pochi problemi a intervenire abusivamente nelle aree critiche del mondo, soprattutto in Medio Oriente e in Africa, ma anche nella Corea del Nord.

Non mancano all’appello neppure ditte che si destreggiano in quel genere di attività tipicamente legate ai film di spionaggio: modellazione di protesi in lattice con cui mascherare gli agenti sul campo, creazione di documenti e identità falsi, produzione tecnica di accessori di spionaggio, gestione della burocrazia legata alle identità fasulle messe in circolazione e così via.

Ultimi, ma non ultimi, ci sono gli informatici, icyber fighters” che si occupano di rastrellare il web per recuperare tutte quelle “informazioni pubblicamente accessibili” che potrebbero garantire un vantaggio strategico sui propri avversari. All’interno del programma signature reduction, costituiscono la branca che sta crescendo più rapidamente, cosa che dovrebbe destare più di qualche preoccupazione.

Oltre a lanciarsi nello spionaggio sfrenato, questi team di esperti fungono infatti da omologhi a stelle e strisce delle cosiddette troll farm” russe [2], ovvero adottano identità digitali contraffatte per intavolare strategie atte a influenzare, manipolare e inquinare le discussioni in atto sui social media. Molti di questi operativi rispondono, direttamente o indirettamente, alla National Security Agency (NSA), l’Intelligence della Difesa, tuttavia si starebbe progressivamente creando una costola separata e ufficiosa, ma anche estremamente attiva.

A rendere il tutto più controverso è proprio il fatto che signature reduction sia stato creato tra gli interstizi che dividono le competenze ufficiali governativi, a cavallo tra il mondo della CIA e quello delle forze dell’ordine. Il programma si muove in un’area grigia con l’intento esplicito di giostrare manovre e azioni che aderiscono a quel genere di conflitto che il mondo militare definisce opportunamente “Gray Zone” e che identifica le schermaglie occulte con cui influenzare o distruggere la competizione senza che però si lasci traccia di un intervento formale e armato.

L’incrementale importanza di questo settore torbido sarebbe fomentata paradossalmente dalla crescente trasparenza pretesa dai Governi e dalle Amministrazioni. Molti Paesi stanno infatti ormai intavolando o adottando norme condivise che tracciano con meticolosità merci e viaggiatori, inoltre anche la sfera virtuale sta avendo a che fare con numerosi stravolgimenti che depotenziano quelle dinamiche che hanno consentito anni di abusi malcelati. Un mondo più cristallino obbliga insomma i promotori dello status quo a inabissarsi ancor più nel fango e sembra che nessuno ne sia veramente esentato, men che meno la nazione che per prima critica questi atteggiamenti di viscida aggressività.

[di Walter Ferri]