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Instagram e Twitter censurano i post che denunciano le violenze israeliane

Instagram e Twitter stanno censurando i post ed eliminando gli account degli utenti che condividono contenuti critici sugli sgomberi delle famiglie palestinesi dalle loro case situate nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est. La settimana scorsa, infatti, le persone hanno segnalato [1] la rimozione di foto, video e post che documentavano e denunciavano gli attacchi violenti [2] della polizia israeliana e dei coloni ebrei nei confronti dei palestinesi che stavano protestando pacificamente contro l’imminente minaccia di essere sfrattati dalle loro abitazioni. Successivamente, però, i social in questione si sono giustificati affermando che tutto ciò fosse riconducibile a degli errori di sistema [3]. Tuttavia nei giorni seguenti, precisamente nella giornata di lunedì, una coalizione formata da più di 20 organizzazioni e gruppi di attivisti per i diritti digitali li ha accusati di continuare a censurare centinaia di contenuti del genere.

Tali associazioni hanno infatti firmato un testo [4] nel quale affermano che ciò costituisca una «grave violazione dei diritti fondamentali dei palestinesi, compreso il loro diritto alla libertà di espressione ed alla libertà di associazione e riunione online», e che «Facebook (di cui fa parte Instagram) e Twitter si erano impegnati ad onorarli, in conformità con i Principi guida delle Nazioni Unite riguardanti le imprese ed i diritti umani». Inoltre, sulla base di ciò la coalizione chiede a tali piattaforme di «smettere immediatamente di attuare la censura e ripristinare gli account e il contenuto delle voci palestinesi», nonché di «avviare un’indagine sulle rimozioni degli account e dei post relativi a Sheikh Jarrah e condividere le ragioni alla base delle stesse in modo trasparente e pubblico».

Non si tratta comunque della prima volta che sui social network si verificano casi di censura nei confronti di post in favore dei palestinesi. A tal proposito 7amleh, una delle Ong firmatarie del testo, già nel 2020 aveva pubblicato un rapporto [5] in cui venivano denunciati gli sforzi sistematici atti a rimuovere tali contenuti dai social, mentre nel 2018 ne aveva redatto un altro [6] incentrato sulla discriminazione attuata da Facebook nell’ambito della moderazione dei contenuti palestinesi.

[di Raffaele De Luca]