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Afghanistan, gli Usa si stanno ritirando o stanno solo privatizzando la guerra?

Il 14 aprile scorso, il Presidente USA, Joe Biden, ha annunciato l’intenzione di porre fine alla guerra in Afghanistan, contro il parere dei generali [1], prevedendo il ritiro delle truppe statunitensi e delle forze NATO per l’11 settembre prossimo. Sono circa 3.000 le unità dell’esercito a stelle e strisce presenti nel paese mentre 8.000 sono quelle facenti parte del gruppo NATO. A ben vedere però, la verità è che gli Stati Uniti e la NATO lasceranno il campo ai servizi di intelligence e agli appaltatori privati di mercenari e corpi di sicurezza.

Le truppe che torneranno in patria sono infatti quelle ufficiali e regolari mentre sul campo di battaglia rimarranno circa 18.000 privati [2] ingaggiati dagli appaltatori del Dipartimento della Difesa statunitense. Non è certamente la prima volta che vengo impiegati contractors [3] in missioni militari statunitensi ma l’Afghanistan, come l’Iraq, risulta essere un esperimento radicale nel governo aziendale, come affermato da Naomi Klain in The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism (2007), e nella gestione d’impresa della guerra [4], con pesanti commistioni tra politici e aziende appaltatrici [5]. L’annuncio di Biden sembra dunque essere pura propaganda, visto che su suolo afgano rimarrà una «combinazione oscura di forze clandestine delle operazioni speciali, appaltatori del Pentagono e agenti segreti dell’intelligence», come riportato dallo stesso New York Times [6].

D’altronde, gli USA hanno speso miliardi di dollari in una guerra che dura da vent’anni e che certamente non ha migliorato le condizioni del paese, né in termini di diritti umani né sul fronte della lotta al terrorismo, e che anzi ha distrutto un paese favorendo la corruzione, il traffico di droga (oppio) e imponendo i propri interessi geostrategici ed economici – vista anche la scoperta da parte dello United States Geological Service [7] di depositi minerari di ferro, rame, cobalto, oro e litio, per un valore di 1 trilione di dollari.

Per quanto riguarda la droga, è interessante sottolineare come l’Afghanistan sia divenuto il maggior produttore mondiale di oppio dopo l’invasione da parte statunitense. Nel 2001, con i Talebani al potere, il paese produceva solamente 74 tonnellate di oppio (che, oltre al suo consumo serve per produrre eroina e molti farmaci liberamente in vendita). Nel 2008, il paese è arrivato a produrre 9.000 tonnellate all’anno di oppio, divenendo il maggior produttore incontrastato a livello mondiale producendone il 93% del totale [8].

«Un processo di pace è ciò di cui il popolo afghano ha bisogno e merita dopo tanti decenni di sofferenze crudeli e inimmaginabili», ha affermato con voce critica Matthew Hoh [9], membro del Center for International Policy e membro della Eisenhower Media Initiative, facendo inoltre presente che gli USA rimangono sempre pronti ad attaccare attraverso droni o squadroni aerei d’attacco con equipaggio, di stanza sulle basi terrestri e sulle portaerei presenti nella regione, oltre che con missili da crociera su navi e sottomarini.

Insomma, dietro la propaganda della potenza mondiale, che non allenta veramente la tensione e il conflitto nell’intera area, c’è chi tra le numerosissime compagnie militari private [10] si sfrega le mani pronto ad accaparrarsi il prossimo contratto milionario.

[di Michele Manfrin]