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Sentenza Floyd: vero cambiamento o rituale di purificazione di un sistema marcio?

Martedì 20 aprile 2021, dopo 10 ore di camera di consiglio, la giuria di Minneapolis ha condannato Derek Chauvin, l’agente di polizia responsabile della morte dell’afroamericano George Floyd. Il 25 maggio 2020, Chauvin aveva ucciso l’uomo 46enne, disarmato, schiacciandogli il collo con un ginocchio per 9,5 minuti, senza prestargli soccorso quando aveva perso coscienza. L’episodio aveva scatenato proteste senza precedenti in tutti gli Stati Uniti e Floyd era diventato il simbolo del movimento Black Lives Matter.

La giuria ha ritenuto Chauvin colpevole di tutti e tre i capi di accusa: omidicio di terzo grado, omicidio involontario di secondo grado e omicidio colposo preterintenzionale. Ora l’ex agente rischia fino a 40 anni di carcere. La pena sarà stabilita tra 8 settimane. In moltissimi seguivano il processo e la reazione alla sentenza è stata molto positiva: applausi, urla di gioia, persino una standing ovation in risposta alla lettura del verdetto. La tensione era altissima. L’anno scorso, la morte di George Floyd ha causato un’ondata impressionante di proteste e in molti temevano che un successo di Chauvin avrebbe esasperato la situazione, portando a disordini e rivolte.

Il verdetto del 20 aprile rappresenta una svolta nella storia americana. Negli ultimi anni, la violenza poliziesca è diventata una vera e propria piaga nel paese, assumendo forti caratteri razziali e classisti. Finora, ci sono stati solo 3 giorni nel 2021 in cui la polizia non ha ucciso nessuno. Secondo i dati di Mapping Police Violence [1], gli afroamericani hanno 3 volte la probabilità degli americani bianchi di essere uccisi per mano di un agente, nonostante sia statisticamente più improbabile che siano armati. Nella maggior parte dei casi, le vittime non avevano commesso alcun crimine. Il 98,3% degli agenti in questione non subiscono alcuna conseguenza. Per quanto i pochi che invece vengono puniti, nella metà dei casi c’erano testimonianze video, quindi prove assolutamente schiaccianti. Assolvere Chauvin non era fattibile, troppo scioccanti le modalità dell’uccisione di Floyd, troppa l’attenzione mediatica e il rischio di gravi rivolte di massa in caso di assoluzione. Con modalità assolutamente irrituali anche il presidente Biden aveva chiesto la condanna prima della sentenza affermando che contro l’agente c’erano «prove schiaccianti».

Ma in generale il livello di impunità rimane altissimo. È vero che la condanna di Chauvin non sembra molto se vista in questa prospettiva, ma si tratta comunque di un caso assolutamente nuovo e, chissà, forse capace di causare un cambio di rotta. Per la prima volta oggi si crea un precedente. Oltretutto, questo avvenimento potrebbe velocizzare i tempi della riforma della polizia che da tanto si dibatte negli Stati Uniti.

Biden ha dichiarato: «Oggi abbiamo compiuto un passo avanti contro il razzismo sistemico che è una macchia per l’anima del nostro Paese.» Al momento, il presidente sta valutando un nuovo progetto di legge per evitare episodi simili. Ma tra l’annunciare un progetto di legge e mettere realmente in campo misure contro la violenza e l’impunità sistemica della polizia il passo è molto lungo e di certo non scontato. Nei prossimi mesi si potrà capire se la sentenza Floyd rappresenta realmente un cambio di rotta o se somiglia più all’inutile rito di purificazione di un sistema marcio.

[di Anita Ishaq]