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Unicredit viola la sua policy continuando a investire sul fossile

Un miliardo di euro a favore della società ceca EPH, principale acquirente di miniere e centrali a carbone obsolete. È a quanto ammonta un recente prestito rilasciato da Unicredit. Attraverso tale operazione finanziaria l’istituto di credito ha, di fatto, investito su fonti fossili entrando così in conflitto con la propria policy. La EPH, compagnia attiva nel settore energetico, è nota per i suoi tentativi di prolungamento dell’operatività di impianti a carbone in fase di dismissione o particolarmente inquinanti. Tra le altre, è proprietaria della centrale a carbone di Fiume Santo, tra le principali cause di inquinamento nel Nord della Sardegna. EPH sta poi ampliando i suoi affari mediante l’acquisizione della centrale tedesca di Schkopau. In questo senso, il prestito di Unicredit si profila come una violazione della sua politica aziendale. Ovvero, una posizione sul settore del carbone – almeno fino ad ora – tra le più avanzate a livello globale. Questa prevede, infatti, l’interruzione di ogni rapporto con tutte quelle società intenzionate ad espandersi nel campo delle fonti inquinanti.

A parole, una policy a favore della sostenibilità. Nei fatti, invece, non è la prima volta che questa viene tradita. Nel 2020 Unicredit avrebbe, infatti, concesso prestiti e sottoscrizioni a società petrolifere e del gas per un totale di quasi 6 miliardi di euro. Nello stesso anno, inoltre, l’istituto ha investito con oltre 280 milioni di euro in più in progetti dedicati all’esplorazione, produzione e trasporto di idrocarburi. Tra le società finanziate figurano Eni, Repsol e Total. Per quest’ultima, con 348 milioni di euro concessi nel solo 2020, Unicredit figura tra i principali sostenitori finanziari. Sollecitato da Re:Common [1] che ha condotto l’inchiesta, l’istituto di Piazza Gae Aulenti ha scelto di non rilasciare nessuna dichiarazione.