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Gli USA e il doppiopesismo sui diritti umani come arma geopolitica: il caso di Cuba

Nei giorni scorsi il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha rilasciato il Rapporto 2020 sui paesi che violano sistematicamente i diritti umani [1]. Il documento stila una lista dei paesi responsabili e quindi passibili di punizioni. Sostanzialmente lo strumento con cui gli Stati Uniti ogni anno danno le pagelle al resto del mondo. La prefazione si concentra sulla critica ai soliti sospetti, ovvero i paesi maggiormente nemici della potenza americana: Cina, Russia, Venezuela, Nicaragua e naturalmente Cuba. Con il rapporto gli Usa pongono le basi per confermare e applicare nuove sanzioni contro questi paesi, nonostante tali sanzioni siano condannate dagli organi internazionali e finiscano principalmente per colpire i civili. 

Il rapporto giustifica l’inserimento di Cuba nella lista dei principali violatori di diritti umani riferendosi ai frequenti episodi di repressione della libertà religiosa e di espressione del paese, oltre che all’assenza di elezioni libere e ai casi di esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e tortura. Ed è nella comparazione tra le parole durissime riservate al nemico socialista rispetto a quelle ben più caute riservate alle dittature alleate che si evince la natura politica del documento. Se Cuba è definito [2] «uno stato autoritario» con elezioni «né libere né eque né competitive», nel capitolo sull’Arabia Saudita (paese dove vige una spietata monarchia assoluta, che però è alleata di Washington) si sottolinea il fatto che sono state svolte elezioni municipali monopartitiche «senza irregolarità significative».

Ma il paragrafo che mostra più di tutti la falsità del rapporto è quello sulle esecuzioni extragiudiziarie. Tanta è la voglia di colpire Cuba – paese che da 60 anni è avversato spietatamente dagli Usa per il solo fatto di aver scelto un ordinamento economico-sociale opposto al neoliberismo –  che il rapporto si concentra su un unico fatto per provare a dimostrare che vi siano cubani uccisi senza processo. Si tratta del caso dell’uccisione di un ladro colto in flagrante e che ha ingaggiato uno scontro con le forze dell’ordine senza arrendersi, ed è stato ucciso con un colpo di pistola da un’agente. Un fatto, certamente deplorevole, unico in un anno. Peccato che gli Usa non diano pagelle a sé stessi, sarebbe stato certamente istruttivo leggere il rapporto sulle uccisioni extragidiziarie da parte della polizia americana, che solo nel 2020 ha ucciso 1.127 cittadini in circostanze sospette [3].

È chiaro che si tratta di due pesi e due misure. Da una parte, gli Stati Uniti si fanno giudici internazionali, accusando altri paesi di violazioni di diritti che avvengono nel loro stesso territorio. Dall’altra, le accuse sono mosse in maniera strumentale e strategica: usano la scusa dei diritti per favoreggiare o penalizzare paesi a seconda dei propri interessi. Anche l’Arabia Saudita, il Qatar e l’Egitto violano sistematicamente i diritti umani, ma non sono colpite da nessuna sanzione. Non si faticano quindi a comprendere le ragioni con le quali il ministro degli Esteri cubano Bruno Rodríguez ha definito il rapporto Blinken «fuorviante e politicizzato». Facendo notare che se gli USA fossero anche solo minimamente interessati al benessere del popolo cubano bloccherebbero le ben 240 misure di sanzione emesse da Trump contro Cuba.

[di Anita Ishaq]