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Myanmar, per reprimere le proteste la polizia usa proiettili fabbricati in Italia

Nonostante nel Myanmar ci sia un embargo degli armamenti istituito nel 1991 poi esteso e rafforzato nel 2000 dall’ Unione Europea e dal Congresso degli Stati Uniti, il 3 marzo a Yangon, la principale città del ex Birmania, durante una sparatoria e una conseguente brutale aggressione della polizia verso un’ambulanza e i medici che trasportavano civili feriti, è stato ritrovato un bossolo di proiettile (più di uno secondo altre fonti) di fabbricazione italiana della ditta Cheddite Italy Srl. [1]La notizia è stata riportata dal settimanale birmano Irrawaddy [2], a firma dal ricercatore ed esperto del commercio di armi Yeshua Moser-Puangsuwan che ha contattato la ditta italiana per avere chiarimenti sull’accaduto. L’azienda italiana ha negato di aver mai esportato armamenti in Myanmar in rispetto delle leggi sull’embargo.

Nel caso, l’unica spiegazione plausibile rimane una complessa triangolazione di spedizioni in altri paesi dove l’importazione non è proibita e dove le armi vengono acquistate e poi rivendute in altre parti del mondo, rendendo irrintracciabile la diretta provenienza. Nel 2019 la UN Comtrade [3], il database del’ONU sulle statistiche del commercio internazionale, ha registrato un trasferimento di proiettili per fucile dall’Italia a Singapore rispediti poi in Thailandia con lo stesso codice identificativo di quello ritrovato a Yangon. Il principale strumento delle Nazioni Unite per monitorare la trasparenza sul commercio di armi è UNROCA [4] al quale il Myanmar non ha mai aderito.