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Le prove raccolte dall’Oms sulle origini del Covid non sono poi così rassicuranti

Con il passare dei giorni crescono le voci critiche attorno ai risultati ottenuti dalla missione dell’Organizzazione mondiale della sanità in Cina, alla ricerca delle origini del coronavirus. Se al termine della missione – lo scorso 9 febbraio – erano state rilasciate [1] dichiarazioni rassicuranti sull’emersione di importanti prove che avevano fatto definire «estremamente improbabile» l’ipotesi che il Sars-Cov-2 si fosse diffuso dopo essere sfuggito dal laboratorio di Wuhan, oggi le cose non paiono così scontate. Non appena rientrati dalla Cina gli stessi componenti della squadra dell’Oms hanno denunciato che le autorità di Pechino hanno «rifiutato alcuni dati chiave» agli studiosi. In particolare, uno dei membri della squadra, il microbiologo Dominic Dwyer, ha denunciato che le autorità cinesi hanno negato l’accesso ai dati grezzi sui primi casi, concedendo solo un riassunto.  Lo stesso capo della missione, Peter Ben Embarek, ha espresso la sua frustrazione per la mancanza di accesso alle informazioni richieste.

Se appena qualche giorno fa l’ipotesi del virus sfuggito  dal laboratorio, era stata derubricata a «scenario da film», ora è lo stesso direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, a sostenere che «tutte le ipotesi rimangono aperte e richiedono ulteriori analisi». Nei giorni scorsi anche gli Usa hanno espresso critiche, con la Casa Bianca che ha evocato lo spettro di «interventi o alterazioni» da parte cinese e ribadendo l’imperativo che il rapporto sia indipendente.