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Come l’inquinamento acustico mette a rischio la sopravvivenza dei mammiferi del mare

Una recente ricerca dal MAI (Marine Acoustics. Inc. [1]) ha scientificamente provato che l’inquinamento acustico antropogenico è il principale responsabile dei numerosi spiaggiamenti dei mammiferi marini. Negli ultimi 50 anni l’impatto acustico sui fondali marini è aumentato a dismisura, arrivando a coprire fino al 70% dello spazio di comunicazione a disposizione dell’ecosistema marino, mettendo gli animali in una condizione altissima di stress e alterandone la capacità uditiva con dannosi cambiamenti fisiologici e comportamentali. Disorientati e costretti spesso ad abbandonare il proprio habitat, rischiano di ammalarsi ed in alcuni casi, di morire. Le principali cause sono i sonar degli addestramenti militari, le trivellazioni e il dragaggio dei fondali, le estrazioni di gas e petrolio ed il continuo aumento del traffico navale.

La fauna marina, in particolare i mammiferi come balene, orche, delfini e foche si orienta e comunica emettendo suoni pulsati combinati con fischi che arrivano a chilometri di distanza. Quando interferiscono altri suoni, ultrasuoni o vibrazioni di genere antropico causano disorientamento e gli animali possono prendere rotte sbagliate compromettendo così le attività riproduttive, la caccia e contribuendo pesantemente ad una possibile estinzione. Durante la pandemia, almeno in alcune aree, vi è stata una drastica riduzione delle attività marittime e si è quasi dimezzato l’inquinamento acustico, favorendo momentaneamente la fauna marina ed il suo ecosistema. La sfida è rendere permanenti questi miglioramenti.